La testimonianza di Domenico Baglioni di Camarda del vissuto drammatico di detenzione nei lager

Cari amici di "Assergi Racconta", pubblichiamo la testimonianza di Domenico Baglioni di Camarda, del vissuto drammatico di detenzione nei lager, dal post del figlio Paolo Baglioni.

 

Nella primavera del 2000 mio padre, come tutti gli IMI (Internati Militari Italiani nei campi di concentramento nazisti) sopravvissuti a quella "esperienza", fu invitato dal Governo Italiano a documentare ed a raccontare la sua testimonianza di quel vissuto drammatico di detenzione nei lager, nel vano tentativo, poi fallito miseramente, di farsi indennizzare dalla Germania per i crimini di guerra perpetrati nei loro confronti!
Domenico, così si chiamava, classe 1915, non era mai riuscito a raccontarmi nulla perché erano prima le lacrime ad uscire dai sui occhi che le parole dalla sua bocca. Così mia madre, ogni qual volta io tentassi di sapere, mi rifilava un calcione da sotto il tavolo per farmi desistere!
In quella occasione, da soli e seduti sul divano di casa ci riuscii... sapeva di doversene andare a breve, per un blocco della circolazione periferica ai piedi, probabilmente dovuto proprio a quanto sofferto per le condizioni patite in quegli anni di permanenza nei lager d'oltre alpe! E dunque si lasciò andare nel ricordo di quello che per lui è stato sicuramente il periodo più doloroso della sua vita, nonostante venisse già da una infanzia molto sofferta perché orfano della prima guerra mondiale a causa della quale perse anche la madre che si ammalò di tubercolosi subito dopo aver accudito il marito tornato malato dal fronte.  
Questo è quello che mi raccontò tratto dal suo "diario schematico della prigionia" (come lo intitolò lui) manoscritto a matita su un piccolo taccuino:
"Mi è chiesta una dichiarazione personale che accompagni la richiesta di risarcimento! E' trascorso tanto tempo. Certo non ho dimenticato! E come si potrebbe? Magari potessi, ma so che non sarebbe giusto mandare nell'oblio una cosa così grave per tutta l'umanità. La difficoltà però è tanta. L'angoscia, la paura, la rabbia, la gioia, emozioni di grandissima intensità che si accavallano quando i ricordi incominciano a riprendere forma nella mia mente. Si susseguono senza un ordine preciso perché ogni riferimento del vissuto si perde nella concitazione del ricordo. Tirare fuori immagini e suoni e ricomporli per dare loro un senso narrativo non appartiene alle mie capacità. Dovrei essere uno scrittore o un regista allora tutto questo sarebbe molto più semplice. Ma non lo sono.
E allora cosa dire?
Il giorno della resa incondizionata ai tedeschi rappresenta sicuramente l'inizio di un cammino lungo e doloroso che mi portò prima a lavorare in fabbrica e poi nelle miniere di molibdeno nelle vicinanze di Bijelo Polje nella ex Jugoslavia. Un lavoro massacrante al quale molti di noi non sopravvissero. Vedere compagni sfiniti dalla fatica e dalla fame accasciarsi al mio fianco; vederli morire da soli o per mano dei tedeschi mi straziava il cuore. Il dolore che provavo allora è ancora oggi lo stesso.
Ricordo che il mio solo pensiero fu di fuggire da quell'inferno nel quale non sarei riuscito a sopravvivere a lungo. Così organizzai una fuga alla quale avrebbero dovuto prender parte altri due amici. Invece fuggimmo in otto: chi avrebbe mai dato da mangiare a ben otto fuggitivi! Questa fu la preoccupazione per circa due mesi d'inarrestabile cammino verso il ritorno in Italia. Speranze e sogni mi accompagnavano e mi diedero la  determinazione per andare avanti e guidare il gruppo anche quando le forze sembravano abbandonarmi. Ma tutto svanì quando, sorpresi di notte da una pattuglia tedesca, fummo riportati in Germania in un campo di concentramento dove lavorai di giorno, di notte, al freddo, sotto la neve e senza scarpe.
Ricordo bene la prima nevicata di quel freddo inverno. Inverno nel quale iniziarono i bombardamenti russi che cancellarono momentaneamente in me la sofferenza provata nel dover lavorare e vivere in quelle condizioni estreme. Da quel momento tutti noi, dislocati nei campi di concentramento presso il confine russo, fummo spostati, con marce forzate e sotto il tiro dei soldati verso il centro della Germania. Camminammo per decine e decine di chilometri al giorno, a piedi nudi, stretti nella morsa del freddo e della fame. Molti, stremati e senza più forze, vennero eliminati. Altri caddero sotto i colpi delle mitragliatrici aeree.
Era sempre più buio davanti a me. Pensavo che non avrei più rivisto i miei cari, il mio paese e la mia terra soprattutto quando passammo sotto la custodia dei civili nella città di Kaiserslautern, i quali erano solo apparentemente più docili dei militari tedeschi, in realtà molto più feroci nel raggiungere i loro scopi.
Ed ecco, invece, aprirsi uno spiraglio. Aerei americani sorvolavano sempre più spesso le nostre teste segno che eravamo alla svolta: le voci su una possibile resa tedesca si facevano sempre più forti, la Pasqua si avvicinava e la speranza aumentava. Finalmente quel giorno arrivò. I primi carri armati alleati fecero il loro
ingresso nella città. Il nostro rimpatrio avrebbe dovuto attendere quello degli americani, poi quello degli inglesi e dei francesi. Ma era solo questione di tempo! Ormai eravamo liberi.
Vivo, da allora, nella speranza che tutto ciò non si ripeta mai più.
Domenico Baglioni"
"Vivo, da allora, nella speranza che tutto ciò non si ripeta mai più!"
Buon 25 Aprile



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