La ragazza violentata ha confidato alla madre: "volevano uccidermi"

«Ho capito che potevo morire. Quelli mi volevano uccidere». Così ha confidato alla madre la studentessa ricoverata in ospedale con una prognosi di 30 giorni dopo la violenza subìta nella notte tra sabato e domenica davanti all’uscita di sicurezza della discoteca «Guernica» di Pizzoli. La dichiarazione è riferita dall’avvocato Enrico Maria Gallinaro che assiste la ragazza.
 Il legale afferma che «la natura e la gravità delle lesioni riportate dalla giovane rendono il quadro indiziario estremamente grave. La mia assistita è stata abbandonata seminuda e gravemente ferita, alle tre del mattino, in un parcheggio, nella neve e nel ghiaccio. È stato un miracolo che si sia riuscita a salvare. Le lesioni sono gravissime e ovviamente documentate. La priorità, in questo momento, è nel recupero psico-fisico della mia assistita, dopo viene il resto. Confidiamo nel rispetto di tutti, nel buon operato della magistratura». Secondo quanto riferito dall’avvocato, la giovane non ha più parlato di quanto le è accaduto quella notte. «Sta cercando di elaborare quei drammatici momenti e quindi non parla del gravissimo fatto. Dal punto di vista fisico si sta riprendendo». Il legale si dice preoccupato per la pressione mediatica sulla giovane e sulla famiglia. «La famiglia è assediata e questo aggrava ancora di più una situazione molto complessa», puntualizza Gallinaro. «Voglio evitare che il tutto si ripercuota negativamente sulla ragazza».
 I TESTIMONI. Nuova sfilata di testimoni davanti ai carabinieri. Dei quattro giovani sospettati due sono stati ascoltati di nuovo nella giornata di ieri. I due, caporali del 33º Reggimento Artiglieria terrestre Acqui, hanno ribadito di non avere avuto nulla a che fare con la brutale aggressione della studentessa universitaria. In queste ore, infatti, si stanno rimettendo a posto tutti i tasselli del mosaico, con particolare riferimento alle dichiarazioni rese da coloro che sono stati sentiti come persone informate dei fatti. Tra gli indiziati la posizione più grave appare essere quella di uno dei due giovani militari originari della provincia di Avellino, quello trovato con la camicia sporca di sangue dal gestore del locale e dai buttafuori subito dopo che era stata notata, fuori dalla discoteca, la studentessa svenuta in mezzo alla neve e insanguinata. I primi esiti degli esami di laboratorio dei Ris (Reparto investigazioni scientifiche) di Roma avrebbero evidenziato la compatibilità delle tracce ematiche ritrovate sugli abiti di uno dei militari con il gruppo sanguigno della vittima. Nessun elemento ulteriore, invece, è arrivato dagli accertamenti sull’auto di uno dei militari che è stata pertanto dissequestrata.
 NON IN AUTO. Infatti, secondo quanto emerso dagli accertamenti, è da escludere che la violenza possa essersi consumata nell’abitacolo della macchina. Anche perché mancano le tracce di trascinamento di un corpo sanguinante dal punto dove si trovava parcheggiata l’auto fino al luogo del ritrovamento della ragazza ferita e in uno stato di incoscienza, vale a dire nei pressi dell’uscita di sicurezza, nella parte retrostante del locale. Una zona nascosta rispetto all’ingresso principale del locale dove il passaggio di persone quella notte era continuo. Un fatto avvenuto, dunque, in una zona appartata ma considerata «pertinenza» del locale. Dove i carabinieri, dopo aver perlustrato tutta la zona quella stessa notte, nell’immediatezza dell’intervento, sono tornati di nuovo per ulteriori accertamenti.

 



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