FRANCO NARDONI E ANTONIO MASSIMI UN DUO SPETTACOLARE

FRANCO NARDONI E ANTONIO MASSIMI

UN DUO SPETTACOLARE

 

- di Fernando Acitelli -
 

Quello che oggi manca a quel Belvedere privilegiato, a quella postazione fantastica che ad Assergi si chiama “Posto ‘NaPorta”, è la conversazione, il motteggiare arguto e penetrante tra Franco Nardoni e Antonio Massimi. Difficile scalfire le loro convinzioni, in poche parole facevano corpo unico e per gli altri lì convenuti arduo era controbattere. Da anni Antonio Massimi è rimasto solo e non ha più trovato una spalla ideale, forte, paragonabile a quella rappresentata, un tempo, da Franco. Qualcuno deve pur testimoniare che quel duo è esistito, com’è nell’arte, ma quando accade che, proprio come nello spettacolo, un duo perde un protagonista, ecco che il superstite “sopravvive”, riflette sull’ombra del suo amico ma i dialoghi mancati diventano per lui un soliloquio, vale a dire la certezza delle proprie riflessioni. Ed accentuando tale stato interiore si giunge quasi al recludersi in sé. 

Anche quel Belvedere con vista sull’ovunque sembra essere mutato, non soltanto una figura in meno ma anche una voce scomparsa, vale a dire un’idea di mondo che non può più donare esperienza. Quel muretto fu istoriato anche grazie a quelle due presenze ma non possiamo dimenticarci delle tante esistenze che lì confluirono e tale convergere in quel luogo fu per trovare negli altri un sostegno emotivo, per osservare volti famigliari e rassicuranti, per sentire dove stava andando il mondo e, infine, per mettere da parte i guai. E i toni della conversazione non erano sempre pettinati e anzi, spesso, a seconda della materia trattata, più o meno incandescente, si poteva giungere a rissosità di sguardi, a brutte esclamazioni di cui anche la valle e le montagne s’imbrattavano. Naturalmente certe doverose precisazioni avvenivano come il lampo fulminante dell’aforisma.

Tanti hanno abbandonato il grande affresco del mondo risolvendosi chissà dove e di quelle parole lontane non è rimasto neppure l’eco. La sottrazione d’individui meriterebbe un grande studio per la Memoria e già l’accatastare i nomi sarebbe opera meritoria. Qualcuno in disparte (un perdigiorno?) osa ogni tanto comporre un piccolo Spoon River con molte esistenze alleate ormai col buio, persone a lui ben note. Poi, piano piano, anche costui si perde nella bellezza inconsistente del paesaggio.

Certamente per il famoso muretto di Assergi non possiamo parlare de La civiltà della conversazione, dal titolo del libro di quella storica eccelsa del 18° secolo che è Benedetta Craveri, ma comunque quel “salotto” ad Assergi è esistito, anche se non protetto da pareti ma all’aria aperta: lì si produceva pensiero, ci si scontrava nell’illusione di confezionare la “verità”.

Iniziamo dai due personaggi che animarono quel “salotto”, e cioè Franco Nardoni e Antonio Massimi, e dunque si può concludere – sempre con un poco di ironia - che i Voltaire e i D’Alambert di Assergi furono proprio loro: in questo caso io sarei una sorta di Madame du Deffand i cui carteggi con i philosophes rimangono delle vere preziosità. Un duo che, almeno in quei frangenti, quando cioè la conversazione decollava, poteva vestire i panni della saggezza. Un volto nordico Franco, a carnagione chiara e con una chioma tendente al biondo e composta da capelli puntuti, sotto certi aspetti impettinabili proprio a ragione della loro forma. Ben piantato, d’estate prediligeva magliette di cotone ed anche in questo caso erano le tonalità chiare ad imporsi. Ed era come se quella gradazione di colore dovesse rispettare carnagione e chioma. La voce aveva un tono forte e ben duettava con quella di Antonio Massimi che era più lieve anche se persistente e a prolungarsi fino al fondo d’ogni spiegazione. Ad ascoltarla si poteva anche sognare e così, ad esempio, fare riferimento ad un refettorio di convento e lì un frate a continuare nelle sue convinzioni malgrado tutt’intorno – tra i confratelli - quella sua estrema lucidità non aveva fatto breccia. Ma non per questo il frate desisteva ed anzi era proprio in quei momenti che le sue convinzioni si rafforzavano. Ecco, Antonio Massimi era così. Una voce conciliante la sua (mai, però, rassegnata) e meno “irruenta” rispetto a quella del suo sodale. Ma in Franco Nardoni il vociare alto evidenziava per lo più il suo spirito razionale, quel voler fare luce su quell’argomento che, in quei momenti, si stava trattando. Era un irriducibile nelle spiegazioni, controbatteva, osava rimandi in campo aperto, animava quel luogo sotto il sole. Antonio Massimi era l’esatta rappresentazione dei suoi genitori: ad un padre, Cesare, molto educato e sempre sorridente, corrispondeva una madre, Teresa, anch’essa buona, brava, conciliante, ma che valutava sempre il “contropiede” per ribattere eventuali sortite dell’interlocutore, sottolineature che proprio non le erano apparse giuste. Dunque, anche lei una donna irriducibile malgrado il suo sguardo sereno e segnato sempre da un lieve sorriso. Di Franco Nardoni non posso risalire alle origini proprio perché non conobbi i genitori ma dal suo argomentare che spesso seguii potrei lievemente comporre l’affresco.

Il fatto dunque era proprio lo spirito da razionalisti dei due, mai voli fantastici, mai imbarcarsi sulla mongolfiera del sogno, tra Le avventure del barone di Münchhausen e i fratelli Montgolfier. Sembravano veramente usciti dal secolo dei Lumi ed erano assenti, in essi, sortite liriche, azzardi metafisici, stupori che potessero distrarre dal già saggiamente immagazzinato, allontanare dalla realtà.

È questo l’ennesimo ritaglio di mondo che dovrà essere custodito. Il più a lungo possibile.

 



Condividi

    



Commenta L'Articolo