Riflessioni di Domenico Marcocci in margine a: IL LAGO DI FILETTO NELLA PIANA DI FUGNO

Riceviamo da Domenico Marcocci e volentieri pubblichiamo, alcune riflessioni in margine all'artico di Giovanni Altobelli: "IL LAGO DI FILETTO DELL’AQUILA NELLA PIANA DI FUGNO" pubblicato su Assergi Racconta il giorno 1 settembre 2020. 

 

In questi giorni di agosto ho avuto occasione di leggere un articolo del 01.09.2020, che mi era sfuggito a suo tempo, scritto da Giovanni Altobelli e pubblicato da “Assergi Racconta” riguardante “Il lago di Filetto dell’Aquila nella piana di Fugno”. Nell’articolo, tra le varie notizie si legge anche che il lago, nelle mappe catastali elaborate nel 1934, presenta un’estensione di mq 6.200 (quasi 10 coppe in misura agraria locale), di fatto, però, l’estensione è molto inferiore – da una misurazione personalmente rilevata l’invaso dovrebbe avere un’estensione di circa 3.600-4.000 mq. Forse l’area mappale comprende, oltre l’invaso, anche una fascia marginale annessa al lago in quanto necessaria per consentirne l’utilizzo e l’abbeveraggio del bestiame senza sconfinare nei prati privati – naturalmente va esclusa la vasta area tratturale a sé stante che è molto più grande. La profondità massima rilevata è di m 3,50, come si legge nella tabella-segnaletica ivi esposta.

Nell’articolo si evidenzia una particolarità importante di questo laghetto di montagna: fin dall’antichità remota questo piccolo lago ha richiesto una manutenzione periodica che ben conoscono e sanno gli abitanti di Filetto. In realtà gli esperti in materia sanno bene – ancor più degli abitanti edotti dall’esperienza e dalla tradizione – che le piante acquatiche che muoiono annualmente, l’azione degli animali che vi si abbeverano, i detriti vari, col passar dei decenni determinano un accumulo di sedimenti tale che va a diminuire lo spessore e la quantità dell’acqua; se a tutto questo si aggiungono il cambiamento climatico, l’innalzamento vertiginoso della temperatura estiva e la scarsità di piogge e di nevi, si verifica, come nella scorsa estate 2021, il quasi prosciugamento del lago. Di conseguenza, oggi ancor più che in altri tempi, è ineludibile la manutenzione periodica del lago di cui il suddetto articolo, citando il libro “Filetto” di don Demetrio Gianfrancesco, ricorda alcune date del passato.   

La ripulitura che ha attratto al mia attenzione è quella del 1468 documentata da due atti notarili citati da don Demetrio. Il primo, di notar Domenico di Nicola di Pizzoli registrato al 1468 dice che “il popolo fece riscavare, e in alcun luogo allacciare di mura il lago nel territorio di Filetto fuori. Somministrò il denaro Jacopo di Giovanni Bordoni di esso Castello” (Antinori, XVI, I, 285, in D. Gianfrancesco, cit., p. 22, nota 24). Il secondo, rogato dallo stesso notaio l’8 dicembre1467, dice che “i testimoni (per brevità ne omettiamo i nominativi) attestano che il mastro Pietro di Antonio di Varese di Lombardia spontaneamente e scientemente ha confessato di aver avuto e ricevuto da Giacomo di Pietro di Ianni di Bordone di Filetto fiorini 55 di moneta aquilana, dovuta al mastro e convenuta per la riparazione del lago di Filetto, situato dove si dice ju fugniu seu corasciol] (ASA, B. 6, XII, Nr. Dom. di Nic. di Pizzoli, 359r in D. Gianfrancesco, ibidem).

Si tratta, dunque, non di una semplice ripulitura ma di un intervento importante ed incisivo per il quale il popolo di Filetto, dimostrando un grande senso di rispetto e di responsabilità nei confronti del lago, richiedeva un esperto nell’idraulica lacustre e rurale e non poteva esservi di meglio che un ‘mastro di Varese di Lombardia’, terra di grandi laghi, di canali e di risaie. Sicuramente la ricerca e la scelta non furono difficili perché nel ‘400 Aquila era diventata la seconda e tra le più ricche città del regno di Napoli e, per ragioni commerciali, vi si erano insediate – specialmente dalla Lombardia, da Firenze, Perugia, Venezia, dalla Francia e dalla Germania – numerose compagnie mercantili, esperti mercanti grossisti, banchieri, artisti e mastri in varie arti, dall’architettura all’edilizia e all’idraulica, appunto. L’opera di “riscavare” il lago, dunque, deliberata e commissionata dal popolo di Filetto, appare realmente una pulitura in profondità per la quale si richiedeva la direzione di un perito in materia idraulica, sia per la scelta di tecniche e strumenti idonei allo scavo sia per evitare di rompere lo strato impermeabile, elemento strutturale essenziale per la formazione e la persistenza del lago. Contestualmente a questa importante ristrutturazione ‘il popolo fece in alcun luogo allacciare di mura il lago’: è, questo, un particolare interessante e dovrebbe trattarsi senz’altro di strutture a difesa dei prati da fieno, delimitando con basse muraglie di pietra a secco l’area di accesso al lago per l’abbeveraggio degli animali.

Da una mia ispezione ho potuto constatare l’esistenza delle basi ancora visibili di varie muraglie nell’area esterna del lago compresa nel settore NE-NO – area limitrofa all’inghiottitoio minore ‘ju maraonu picculu’ dove scaricavano ed ancor oggi scaricano, tramite un canaletto ancora attivo, le acque del lago troppo pieno e quando doveva essere svuotato per la ripulitura. Sul limite occidentale del settore, a confine con i campi coltivati, è visibile la base quasi integra di una muraglia lunga m. 100 e larga m. 1,20 circa che parte dalla distanza di m. 4 dall’attuale argine del lago e sale diritta fino alla costa rocciosa dove, curvando verso sinistra, per alcuni metri accompagna la salita tratturale che di lì prosegue per Costa ranna, Cretarola e la Fossa di Paganica. Dal suo punto d’inizio presso il lago, inoltre, si snoda un’altra muraglia ortogonale di uguale larghezza che proseguendo per m. 30 verso occidente va a chiudere lo spazio sull’argine del lago. Sembra che tutta questa lunga ed articolata muraglia debba essere senz’altro una robusta struttura a secco per proteggere le proprietà private posta al confine dell’area tratturale di accesso al lago.

Dal lato opposto, verso oriente, oltre il canaletto dejiu maraonu picculu, è visibile la traccia longitudinale di una muraglia simile che parte dall’area dell’inghiottito maggiore ju Maraonu e, proseguendo verso occidente fino al lieve avvallamento dejiu maraonu picculu, delimita un’ampia fascia in leggero pendio ai piedi del monte: è il tratturello ‘ju trattorejiu’ ancora distinguibile, braccio tratturale secondario che, provenendo dalla Fossa di Paganica e dalle Macchie, passando per fonte Cretarola e il lago di Filetto prosegue verso l’eremo di S. Eusanio, scendendo per Piedi Ruzza e Ji Saneji raggiunge Barisciano e va ad innestarsi nel Tratturo Magno. Molto verosimilmente questi potrebbero essere i resti di quelle strutture create nei lavori del 1468 e di cui dà notizia l’Antinori; esse racchiudono un’area di accesso al lago molto ampia, proporzionata alla quantità di greggi e di armenti molto elevata in quell’epoca ed al conseguente massiccio utilizzo del lago, importante elemento strutturale del percorso tratturale e nodo vitale della transumanza – Fulvio Giustizia che ha studiato questi temi per la parte orientale di Campo Imperatore, quella gravitante intorno a Castel del Monte, S. Stefano di Sessanio e Calascio, documenta che nell’ultimo quarto del ‘400 da quella zona transumavano per Foggia circa 1.700.000 pecore; possiamo presumere che almeno altrettante greggi dei borghi e castelli del contado aquilano transitassero dalla zona occidentale di Campo Imperatore a Foggia passando, appunto, per il tratturello ed il lago di Filetto.

In questo contesto sembra inspiegabile una muraglia mediana di cui sono visibili le tracce simili alle precedenti sulla sinistra del canaletto di scolo: inizia dal muro di sostegno dell’antica strada rurale ancora visibile sotto le falde del monte, prosegue verso il lago per m. 62 e si arresta alla distanza di m.10 da esso. Potrebbe trattarsi di una muraglia posta ad agevolare lo smistamento del traffico armentizio, a garantire l’ordinata fruizione del lago e ad evitare confusioni e mescolamenti di animali, però andrebbe meglio osservata e studiata. Altre tracce e resti di muri a secco di spessore inferiore che si notano nella stessa zona dovrebbero essere creazioni posteriori per delimitare il confine di proprietà quando, diminuito fortemente il bestiame nei secc. XIX e XX – secondo i dati della transumanza forniti dal Giustizia per la parte orientale dell’altopiano ma credibilmente indicativi anche per la nostra parte occidentale, si passa da 1.700.000 capi del 1494, ai 5.500.000 del 1604, ai 730.000 nel 1877 fino agli appena 205.000 del 1958 – le proprietà private confinanti cominciarono a sconfinare nell’area pubblica.

In realtà, però, il declino della transumanza e dei tratturi fu una scelta politica dei governanti: il primo duro colpo fu la legge n°75 del 1agosto1806 con cui il re Giuseppe Bonaparte tolse i vincoli e le servitù del Tavoliere favorevoli all’attività pastorale; il secondo sotto il governo fascista che, per la famosa campagna del grano, ridusse la larghezza dei Regi Tratturi dai 60 passi napoletani a trenta passi – cioè dagli originari 111 metri a 55 metri – ed i proprietari frontisti poterono occupare gli ambìti suoli tratturali. Per il nostro tratturello intorno al lago le cose andarono anche peggio perché quasi tutta la sua fertilissima area, concimata per secoli da migliaia di animali, fu legalmente occupata dai privati proprietari – la larghezza dei tratturelli oscillava tra i 32 e i 38 metri e quella dei bracci trasversali tra i 12 e i 18 metri. Poi sopraggiunsero le ferrovie, le strade asfaltate e l’uso dei camion per il trasporto delle pecore e finì la transumanza.

 E’ evidente che il lago di Filetto era un nodo nevralgico di confluenze e di partenze di animali specialmente in alcuni periodi dell’anno: qui passavano, infatti, e si ristoravano tutti i greggi e gli armenti provenienti da Paganica e dagli altri paesi della conca aquilana fruitori degli alti pascoli. Era necessario, pertanto, garantire ai molti animali stanziali e ai greggi transumanti spazi sufficienti e fruizione ordinata del lago, ma era altrettanto importante proteggere le proprietà private.

Quanto fin qui detto, però, non è tutto perché nell’ultima ripulitura del 1973 fu scoperta un’area lastricata di pietre nel fondo del lago, come si legge nell’articolo in epigrafe: “Nel 1973 la Giunta Comunale deliberò la somma di L. 7.500.000 per la ripulitura. I lavori furono appaltati dall’impresario di Camarda Giacinto Alfonsi. Durante le mie ricerche…Alfonsi mi rivelò che i lavori iniziarono il 13 luglio 1973 e che durante il prosciugamento con pompe in fondo al lago si notò un antico selciato di pietre con malta pozzolana di circa mq. 200”.

La notizia, assolutamente inedita, è interessantissima e andrebbe collocata storicamente perché non si ha memoria di un’opera tanto importante e significativa nel lago. Da quanto detto sopra, un intervento di manutenzione in profondità documentato fu quello del 1468 quando, oltre alle opere murarie esterne sopra descritte, “il popolo fece riscavare…il lago”. Potrebbe essere stato proprio quel restauro il contesto opportuno per proteggere anche il fondo del lago, l’intervento, infatti, come sopra narrato, fu diretto ed eseguito da un ‘mastro’ veresino, un tecnico idraulico dell’epoca, e l’iniziativa particolare in parola non poteva essere ideata e realizzata da altri che da un tecnico esperto, da un ‘mastro’, appunto.  

Particolarmente favorevole fu il momento storico in cui avvenne il restauro ‘tecnico’ del lago, cioè il 1468 in pieno regno aragonese sotto il re Ferdinando I. Si sa che con la salita degli aragonesi al trono di Napoli una delle loro più importanti attività politico-amministrative fu la protezione e la promozione del settore pastorale e degli allevamenti in genere. Il re Alfonso nel 1447 con la sua Programatica “Mena pecudum Apuliae” istituì la Dogana della mena delle pecore trasferendone la sede da Lucera a Foggia, promulgò un importante regolamento attuativo “Regia Dohana della mena delle pecore in Puglia” e, con una legislazione aggiornata, disciplinò l’intero settore, tutto confermato dal successore Ferdinando I nel 1465. Incrementò il commercio degli ovini, della lana, dei derivati, fece importare dalla Spagna razze pregiate di ovini migliorandone la qualità con notevole incremento commerciale e dell’indotto, concesse privilegi agli allevatori, rese obbligatoria la transumanza e l’uso dei tratturi. Il regio erario e le amministrazioni locali ne traevano, naturalmente, notevoli vantaggi sia con il canone “erbatico”, sia con le decime sui diritti doganali e sulle compravendite – la fiera del 29 maggio a Lanciano offre un piccolo esempio per avere una pallida idea degli utili erariali ricavati dal mercato del bestiame: i proventi del pedaggio pagato al Ponte di Sancto Clemente (a Casauria) e alla via de Populi erano il 5% circa della merce in transito; i 17 paesi della baronia di Carapelle, coincidenti con l’attuale Comunità Montana Campo Imperatore-Piana di Navelli, per 302 animali da mercato del valore di 1.314 ducati, pagano un dazio di 65,71 ducati (8 ducati ogni 100 pecore) che è soltanto il 2% del totale negli Abruzzi; possiamo ragionevolmente attribuire cifre più o meno simili anche al nostro contado aquilano.

In un contesto tanto propizio per il settore pastorale, il restauro magistrale del nostro importante lago con le predette migliorie connesse non poteva non essere ben visto, favorito e sostenuto dalle autorità centrali e dagli amministratori locali. Non sappiamo se costoro abbiano contribuito economicamente o accordato qualche ristoro al munifico sponsor, sappiamo per certo che “somministrò il denaro Jacopo di Giovanni Bordoni di esso Castello” e che per questo lavoro “il mastro Pietro di Antonio di Varese di Lombardia spontaneamente e scientemente ha confessato di aver avuto e ricevuto da Giacomo di Pietro di I[o]anni di Bordone di Filetto fiorini 55 di moneta aquilana”.

Tale Jacopo doveva essere una personalità di spicco e autorevole nel castello di Filetto se, come si legge in D. Gianfrancesco, “il 7 marzo 1473, tramite il notaio Domenico Nicola Tomassi di Pizzoli fu stipulato un contratto di elezione di quattro uomini dell’Università di Filetto, perché provvedessero a tutto ciò che riguardava l’Università stessa, come liti, difesa dei diritti ecc. Essi furono: Giacomo di Pietro di Ianni di Bordone, Micuccio di Pietruccio di Cappa, Giacomo di Ianni, presenti, e Antonio di Pietro di Ianne di Guglielmo detto Callararo, assente” (Idem, Filetto, p. 20). Lo stesso Jacopo è affittuario di un podere di proprietà dell’Università filettese a L’Aquila come si legge in un atto di notar Domenico di Nicola di Pizzoli: “Locatio terre pro Universitate de Filecto (25.2.1466): Giovanni di Pietruccio di Cappa e Giacomo di Scucca, Massari dell’Università di Filetto, affittano a Giacomo di Pietro di Giovanni di Bordone di Filetto un pezzo di terra aratoria sito a L’Aquila, in locale di Filetto presso S. Maria Maddalena e S. Martino e le mura cittadine” (Ibidem, p.21, nota 24). E’ credibile, dunque, che Jacopo si sia fatto carico dell’intero importo di spesa per il restauro del lago e per le realizzazioni esterne, importo che avrebbe, poi, riscattato non versando per un certo numero di anni il canone d’affitto per il terreno all’Aquila.

Da questa interessante storia del lago emergono alcuni dati importanti, ancorché ben noti: il lago, per sua necessità fisiologica, ha sempre avuto bisogno di periodiche puliture e restauri; l’iniziativa è sempre stata presa dai proprietari abitanti di Filetto, come ancora oggi; le autorità e le amministrazioni locali del passato, a differenza di oggi, hanno sempre ascoltato ed accolto di buon grado le istanze del popolo filettese, anzi, in tempi recenti, hanno sostenuto le spese dei lavori; tutto il bestiame stanziale di Filetto, oltre a quello di passaggio, ha sempre potuto fruire del lago per l’abbeveraggio ed agli allevatori mai è stato vietato quest’uso. La voce del popolo, ancor prima di ogni pretesa scientifica, è la voce saggia e sapiente della memoria, la voce delle radici lontane di un popolo, non dovrebbe mai essere soffocata o vanificata.

Oggi il nostro lago, cuore della meravigliosa prateria di Fugno, prezioso serbatoio di acqua che ha dato vita a questa montagna per secoli e millenni, ha ristorato e dissetato milioni di animali, è diventato oasi naturalistica, è stato promosso e ne siamo contenti. Per questa ragione è diventato intoccabile perché, giustamente, bisogna proteggere flora e fauna particolari; ma c’è un particolare che non deve sfuggire: può succedere che per salvare fauna e flora si lascia morire il lago e, per ironia della scienza, si perde lago, flora e fauna, e la prateria, senza il suo cuore vivente, non attrarrà più nessuno, né animali né umani. Chi avesse dei dubbi osservi bene le due foto allegate, una dei roventi primi giorni di questo mese di agosto in cui si vede una pecora che, forse sfuggita alla sorveglianza del custode, ha cercato un sorso d’acqua diventata troppo lontana dalla riva ed è rimasta impantanata; l’altra di un anno fa in cui appare un lago di fango ed una piccola pozzanghera centrale, mentre in mezzo all’ampia zona di vimini (oltre 1/4 del lago) si poteva camminare quasi all’asciutto. Lo specchio d’acqua che si vede oggi, di colore marrone perché invasa totalmente da piante acquatiche, non deve trarre in inganno: per una decina di metri circa dagli argini non è più profonda di 30-50 cm. perché sotto c’è il fango e nella zona centrale forse non supera il metro di spessore.

Il lago ha bisogno di cure, rispettare il lago non significa non toccarlo, se noi ancor oggi godiamo di questo bene comune lo dobbiamo alle cure e alla stima che i nostri avi per secoli hanno avuto di esso. Cultura è coltivare un bene con il rispetto e la delicatezza quasi religiosi (cultus), è un’azione continuativa e, quindi, è legata al passato e alla sua memoria per poter conservare quel bene e proiettarlo nel futuro. E’ cultura anche proteggere l’identità di un bene da ogni invasione tendente a stravolgerne l’identità e le finalità originarie.

I filettesi soffrono nel vedere il proprio laghetto – nostro familiare e compagno di vita dai giochi allegri della fanciullezza fino all’ultimo sguardo tenero ed amico dei vecchi – lentamente venir meno.

 

E’ necessario trovare un accordo tra due intenti apparentemente opposti, salvare il lago insieme con la flora e la fauna che ospita. Oggi si può.  

Domenico Marcocci.

 

 


[1] Corasciolu: da leggere forse cerasciolu, bisognerebbe verificare nel testo manoscritto.


 



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