Violenza di Pizzoli - La madre: tanto dolore ma prego per il militare

«Ci vorrà molto tempo prima che mia figlia si riprenda. Sulla nostra famiglia si è abbattuto uno tsunami e nulla tornerà più come prima». A parlare, trovando anche la forza di perdonare chi ha provocato quello tsunami, è la madre della studentessa laziale brutalmente violentata, nella notte tra l’11 e il 12 febbraio, fuori dalla discoteca Guernica a Pizzoli (foto a lato). Violentata e abbandonata sanguinante e ormai priva di conoscenza in mezzo alla neve, dove è stata poi trovata dal titolare del locale a cui, probabilmente, la giovane deve la vita. Con l’accusa di violenza aggravata e tentato omicidio, è finito in carcere Francesco Tuccia (foto in alto), un militare avellinese di 21 anni, che continua a difendersi raccontando la storia di un rapporto consensuale.
 Ieri mattina, poco prima delle 8, la 20enne ha lasciato il reparto di ginecologia dell’ospedale San Salvatore, dove da quella notte era ricoverata e dove è stata sottoposta anche a un intervento chirurgico per fronteggiare la gravità delle lesioni subìte. Continuerà le cure altrove, lontano dall’Aquila dove era arrivata per frequentare la facoltà di Ingegneria. Ma prima di lasciare la città, accompagnata dai genitori e dall’avvocato Enrico Maria Gallinaro, la studentessa ha fatto tappa in procura. Ad attenderla il Pm David Mancini, titolare dell’inchiesta. E si è trattato della sua prima deposizione, poiché finora gli stessi medici del reparto e lo psicologo avevano consigliato di evitarle una «prova troppo stressante», considerate le sue precarie condizioni di salute e il fortissimo stato di choc che ancora le impedisce di mettere a fuoco immagini e ricordi di quella notte. «Poche cose, ma utili alle indagini», è stato il solo commento rilasciato dagli inquirenti al termine del “colloquio”. Una deposizione, con ancora diversi «non ricordo» ma forse servita a far luce sul coinvolgimento, o meno, di altre persone. Cosa di cui molto si è parlato durante la prima fase delle indagini.
 Su questo punto l’avvocato Gallinaro, che ha comunque precisato di non aver assistito alla deposizione della ragazza, si è trincerato dietro un «no comment» aggiungendo, però, «che le indagini non sono ancora chiuse». Intanto, non sembra caduto nel vuoto l’appello che il padre della studentessa ha fatto dai microfoni della trasmissione televisiva «Chi l’ha visto». Nelle ultime ore sarebbero arrivate alcune telefonate da parte di persone che affermano di aver visto qualcosa e che potrebbero contribuire alla ricostruzione dei fatti. Telefonate ora al vaglio degli inquirenti.
 La ragazza trascorrerà qualche settimana lontano sia dall’Aquila che dalla sua città. Così hanno deciso i suoi genitori che ora vogliono per lei solo un po’ di tranquillità. E la madre ha trovato anche la forza di perdonare chi ha ridotto sua figlia in quello stato. «Vengo da una cultura cristiana. Odio, rancore e vendetta non servono a nulla. La giustizia umana è compito degli uomini, reciterò una preghiera per tutti, anche per quel ragazzo» ha detto la donna. «Ci vorrà molto prima che mia figlia si riprenda. Ciò che è accaduto è stato come uno tsunami che si abbatte su una famiglia e ne sconvolge la tranquillità. Non si può spiegare, la realtà supera l’immaginazione. E nulla sarà più come prima. Dobbiamo mettercela tutta, impegnarci e lottare perché queste cose non accadano più. Questi fatti investono aspetti più complessi: vorrei dire alle famiglie, ai genitori, che queste cose non si risolvono non facendo uscire di casa i nostri figli. Forse siamo tutti un po’ responsabili. Forse nell’educazione dei nostri figli abbiamo tutti omesso qualcosa».


 



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