ASCANIO ROSSI, A DIO!


- di Goffredo Palmerini -

 

Ci si sente tutti più poveri quando una persona cara ci lascia. Ancor più, in particolare, quando molti anni si sono condivisi. E’ quello che ho provato questa sera dopo la visita alla famiglia, per la perdita di Ascanio Rossi. La tristezza per la scomparsa di Ascanio, che si vive nella discrezione del silenzio e nell’intimità, lascia però il campo ai ricordi di chi, come me ed altri della mia generazione, ha condiviso con Lui un tratto significativo della nostra giovinezza, degli anni in cui formavamo la nostra maturità. Ascanio è stata sempre persona di grande sensibilità, ricca di uno speciale garbo e, pure nei momenti di apparente durezza, d’una grande e straordinaria dolcezza. Negli ultimi anni, e ancor più negli ultimi mesi, ha sofferto molto per la sua malattia, portata con dignità e sempre con il sorriso sulle labbra. La tenerezza e l’attenzione verso il prossimo hanno dominato sempre nella famiglia di Ascanio: quella sua, quella di sua moglie Lia, quella del figlio Ludovico che, di suo, aggiunge una simpatia senza argini e un’attitudine all’ironia elevata a potenza. Non voglio ricordare Ascanio con note di tristezza. La profonda sua Fede gli ha dato già la certezza d’una vita che non finisce, ma che va verso l’eternità con la Resurrezione del Signore.
Ascanio, era nato nel 1946 a Paganica, come noi suoi amici. Aveva un anno o due più di noi, ma il sodalizio era forte ed è rimasto saldo sempre. Certo, un rapporto di amicizia non vissuto quotidianamente e in continuità, come in quegli anni di giovinezza a cavallo tra i Sessanta e Settanta del secolo scorso. Ascanio aveva il privilegio di vivere, ed abitare, nell’epicentro della vita sociale e comunitaria di Paganica, nella piazza principale del paese contornata tra la Chiesa Madre, il Palazzo Ducale, la Delegazione municipale e le Poste. In quel cuore pulsante del paese c’era soprattutto il Bar della sua famiglia. Suo padre Ludovico (ma solo nelle ore mattutine) e soprattutto sua madre Diva lo conducevano, sebbene nella sobrietà del luogo, come fosse un salotto di via Veneto a Roma. In quel Bar passava tutta la varia umanità di Paganica, era l’ombelico del mondo. In quel Bar noi giovani di quella generazione passavamo qualche ora della nostra giornata, liberi dagli studi, per apprezzare al juke box le novità della musica leggera mondiale, gli interpreti che più amavamo, dai Beatles a Mina, da Joan Baez a Battisti, da Celentano ai Be Gees, da Ornella Vanoni a Bob Dylan, dai Rolling Stones all’Equipe 84 e a tutti i gruppi più in voga, italiani e stranieri.
Eravamo un bel gruppo di amici, ben affiatati, alcuni di noi insieme anche nella squadra di pallavolo delle Acli Paganica. Ascanio era il decano del gruppo, seguivano Livio Ciuca, Loreto Leone, Gianni Pasqualone, tutti e tre del ’47, poi Mario Ferella, Gianni Divizia, Paola Rossi, sorella di Ascanio, ed io, tutti del ’48, infine Giustino De Paulis, che aveva un po’ meno, e qualche altro più giovane che si aggregava. Diva, la mamma di Ascanio e Paola, era la Vestale del Bar. Da metà mattinata conduceva con grande perizia la navigazione del locale, fino alle ore piccole della notte. Socializzava con gli avventori, usando con sapienza la finissima sua arguzia, elargendo simpatia e premura umana verso tutti. Aveva un’attenzione speciale per noi, che eravamo amici di Ascanio e Paola (in quegli anni Mara, l’ultima nata, era ancora una bambina). Insomma, eravamo come di famiglia e ci ammetteva nei locali interni al bar, una cucina e una saletta, gli spazi privati che lei apriva solo ad amici e ospiti di riguardo. Siamo cresciuti, in quegli anni, nella semplicità di quel tempo ancora austero, quando ci si divertiva con poco. Però tra noi ci raccontavamo molto e dialogavamo di tutto fino a tarda ora, appoggiati alla “fraterna” della chiesa o scarpinando per le vie del paese, quasi deserte a quelle ore. Eravamo felici.
Ascanio, che aveva fatto gli studi classici, ci stimolava a ragionare su questioni filosofiche applicate alla vita e su argomenti letterari. E’ stato sempre un buon conversatore, per la verità. Allora che nessuno di noi disponeva di un’auto, era una fortuna quando Ascanio riusciva a farsela prestare da qualcuno e ce ne potevamo andare a cinema a L’Aquila. Ad Ascanio piaceva guidare e lo faceva come se stesse pilotando una Ferrari, specie giù per le curve di Vascapenta, quando tornavamo a Paganica dopo aver visto un film. Una volta, invece, sulla strada per Monticchio ci trovammo all’improvviso di fronte al cantiere del nuovo ponte sull’Aterno. Un fatto inatteso che portò ad un’improvvisa e brusca frenata. La Seicento si ribaltò, ma ne venimmo fuori tutti e quattro illesi. La perizia di Ascanio alla guida ci aveva salvati. Di quegli anni sono ricordi belli, densi di umanità, di rispetto reciproco, di amicizia vera, quella che si desiderava vivere attraverso la il dialogo e il confronto, anche sulle sensibilità sociali e politiche che impegnavano le nostre riflessioni, specie dopo il Concilio Vaticano II e le idee nuove generate dai movimenti nati nel ’68.
Negli anni Sessanta, proprio per quei suoi due tre anni in più di noi, Ascanio aveva partecipato alla “rivoluzione” fantastica che Felicino Fiordigigli e Nino D’Angelo e avevano portato a Paganica, con le sceneggiate teatrali in Piazza Umberto I, oppure al teatrino dei Frati. Tutte scenette per ironizzare sulle questioni e sui problemi più scottanti per Paganica, come la rete idrica che avanzava lentamente, il traforo del Gran Sasso di cui tanto si parlava, ed altre situazioni che si mettevano alla berlina. Si formò in quelle occasioni una schiera di attori improvvisati che interpretavano le “commedie” scritte da Felicino e Nino: Ugo De Paulis, Vincenzo Del Grande, Enrico Ferella, Vermondo Bernardi, Franco Fiordigigli, Pietro Morelli e appunto Ascanio. Unica donna la giovanissima “attrice” Carla Rosati.
A metà degli anni Settanta la nostra compagnia di amicizie perse un po’ Ascanio, assunto all’Alitalia per i servizi in aeroporto, a Fiumicino. Tornava, e non sempre, a fine settimana. Un paio d’anni. Poi d’improvviso Ascanio lasciò quel lavoro e partì per il Venezuela, a Caracas, dove operavano in attività imprenditoriali assai affermate diversi Petricca, fratelli di Diva sua madre. Restò una decina d’anni in Venezuela. Quando nel 1986 Ascanio rientrò a Paganica, avviava l’attività di rappresentanza commerciale che ha condotto fino alla pensione. Soprattutto, però, creava la sua bella famiglia, sposando Lia Garofalo, insegnante e valente pittrice. Dal loro matrimonio nel 1988 nasceva Ludovico, figlio dal multiforme ingegno, ora stimato docente al Liceo Cotugno. Ludovico e la sua sposa Rosanna hanno dato ai “nonni” la gioia di due magnifici nipotini. Ho voluto ricordare il caro Ascanio con queste modeste ma gioiose annotazioni, perché la memoria di Lui ci accompagni in avvenire - noi tutti che l’abbiamo conosciuto e amato – e ci richiami come esemplare la sua gioia di vivere, i suoi profondi valori umani, la sua bella testimonianza di vita cristiana.
Le esequie oggi pomeriggio alle 15:00, a Paganica, nella Chiesa degli Angeli Custodi.



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