Ricordi del partigiano Giuseppe Ferella del 12 settembre 1943, giorno della liberazione di Mussolini

Cari amici di "Assergi Racconta" riceviamo dal nipote e volentieri pubblichiamo una testimonianza inedita di Giuseppe Ferella calzolaio, venditore ambulante di scarpe e partigiano.

 "Mi chiamo Giuseppe Pelliccione. Sono originario di Tempera e da molto tempo seguo i contenuti di Assergi Racconta. Sono il nipote di Giuseppe Ferella, calzolaio, venditore ambulante di scarpe e partigiano. Innanzitutto, vi ringrazio molto per aver ricordato mio nonno nei vostri articoli sui venditori ambulanti e sui partigiani di Monte Archetto, i cui contenuti mi hanno molto commosso.

Mio nonno è scomparso nel 1997, all'età di 85 anni. Tra tutti i nipoti, sono sempre stato quello che più di tutti amava ascoltare le storie e i racconti degli anziani della famiglia, per cui non perdevo occasione per ascoltare e trascrivere i racconti di mio nonno Giuseppe Ferella, in particolare quelli relativi alla seconda guerra mondiale. Riporto di seguito la trascrizione fedele di uno di questi racconti, che descrive i momenti drammatici vissuti da mio nonno nel giorno della liberazione di Mussolini (12 settembre 1943). Il breve resoconto riporta alla luce una delle pagine più tristi della storia di Assergi:
 “Quella mattina mi ero svegliato di buon ora e mi ero recato ad Assergi. Subito venni accolto dai miei amici ed invitato a bere. Quando arrivai nella piazza del paese notai una strana agitazione fra i paesani e incuriosito mi avvicinai ad un ragazzo per domandargli cosa stesse accadendo. All'improvviso il giovane si voltò allarmato: all'orizzonte si stavano profilando oggetti ad alta velocità; indubbiamente erano aerei che volavano a bassa quota. Con i primi boati crebbe la nostra paura e, dopo aver dato un’ultima occhiata verso il cielo, mi rifugiai nelle campagne intorno al paese; non so per quanto tempo corsi poi mi buttai a terra sfinito. Le novità per quel giorno non erano terminate. Non molto lontano, vicino alla strada statale, un nutrito e ben armato gruppo di tedeschi sorvegliava ogni metro quadrato di terreno. Un soldato, dopo aver buttato a terra una cicca, si tolse da tracollo il fucile e, presa la mira, urlò qualcosa ad una guardia forestale che si apprestava a scavalcare il filo di ferro spinato che separava la strada dalla campagna. Non ricevendo alcuna risposta sparò e colpì il poverino al ventre. Vedendo la tragica scena corsi subito a soccorrerlo: i soldati non sembravano tenermi molto in considerazione, forse perché non portavo la divisa, quindi potei agire indisturbato. Dopo essermi messo sulle spalle il ferito vidi una donna venirmi incontro, che poi si rivelò essere la moglie. Ci rifugiammo insieme nella prima casa di fortuna che incontrammo lungo la strada e, dopo aver rassicurato e consolato la povera donna, accertai con disgusto che il ferito non aveva molte speranze di vita, visto che aveva le budella e l’intestino di fuori. Decisi ugualmente di cercare un carretto per portarlo al più vicino ospedale, quindi corsi all'uscio di casa e, dopo essermi guardato intorno, tornai dentro: non ne ero certo, eppure avevo visto tra la macchia dei soldati che si stavano avvicinando al nostro rifugio di fortuna. La mia paura crebbe e, quando mi vidi davanti un numeroso gruppo di tedeschi, cercai di fuggire: stranamente questi mi guardarono ridendo, poi accasciarono a terra il corpo inerte di un carabiniere ferito al ventre; un tedesco si fece strada fra i suoi compagni e, dopo aver preso al ferito uno stivale, se lo infilò soddisfatto, buttando via la sua calzatura danneggiata. Fatto questo andò via, seguito dagli altri soldati. Adesso avevo ben due feriti da salvare quindi, dopo aver lasciato la donna a prendersi cura dei due poveretti, aspettai un po’ di tempo e corsi velocemente in un boschetto lì vicino: questo era attraversato da una stradina di campagna. Camminai furtivo per una decina di minuti, poi vidi cinque carabinieri, sorvegliati a vista da un soldato, stesi a terra e con i vestiti imbrattati di sangue: erano stati feriti da schegge di granata e il più giovane di loro piangeva di disperazione e chiedeva di tornare a casa. Fui talmente commosso che vincendo la paura, mi avvicinai a loro approfittando del momento in cui la guardia si era allontanata. Quando i cinque mi videro, sul loro volto tornò la speranza ed io, temendo che sarebbero stati deportati in un campo di prigionia, nella speranza di salvarli li invitai a seguirmi. I carabinieri riuscirono a venirmi dietro per un po' poi, vinti dal dolore delle loro ferite e dalla disperazione, si buttarono a terra. Fortunatamente lì vicino c’era un pagliaio con la porta sgangherata, il quale sarebbe stato un ottimo rifugio per i feriti. Grazie al mio aiuto questi si sistemarono su alcuni covoni di fieno e, sperando nel mio ritorno, si scusarono di tutto il disturbo che mi avevano arrecato. Rientrai ad Assergi verso le tre del pomeriggio e, dopo aver attirato l’attenzione di numerosi paesani, narrai le mie avventure; purtroppo prima di trovare un gruppo di soccorritori passò molto tempo perché la gente aveva paura di uscire dal paese. Nel pomeriggio i tedeschi si allontanarono da Assergi ed tornammo a salvare i feriti. Purtroppo, la guardia forestale e il primo carabiniere che avevo soccorso all'inizio della mia avventura erano morti durante la mia assenza a causa delle gravi ferite riportate.”
Recentemente ho avuto modo di leggere il libro “La liberazione di Mussolini” di Robert Forczyc, con i contributi dello storico Pier Paolo Battistelli, edito dalla Osprey Publishing nel 2009 e tradotto in italiano dalla casa editrice LEG. Riporto di seguito alcune parti estrapolate dal libro, che descrivono gli avvenimenti di Assergi del 12 settembre 1943. La testimonianza di mio nonno è in linea con il resoconto degli storici, a parte alcune incongruenze sulle circostanze che portarono al ferimento e all'uccisione della guardia forestale, e sul numero dei carabinieri feriti dalle schegge di granata che furono soccorsi da mio nonno. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che mio nonno fu testimone diretto degli avvenimenti, essendosi speso in prima persona per soccorrere e portare in salvo tutti i feriti:
“… Dopo una lenta avanzata, soltanto alle 13 (dieci ore dopo la partenza da Frascati) la colonna raggiunse la deviazione per Assergi… Mors ordinò a Schulze di lasciare al crocevia un distaccamento per formare un posto di blocco… quindi, il gruppo principale si rimise in marcia alla volta di Assergi, distante 8 chilometri… Mors ordinò ai motociclisti di entrare con cautela in Assergi per verificare se vi fossero reparti italiani. I carabinieri che presidiavano la stazione di base della funivia avevano istituito intorno al paese, quale misura di sicurezza, diversi posti di blocco per segnalare la presenza di intrusi e all'arrivo dei tedeschi erano in stato di allarme. La guardia forestale Pasqualino Di Tocco, che si trovava su un barricata a sud di Assergi, fu il primo ad avvistare i motociclisti tedeschi, e mentre cercava di avvisare i carabinieri del paese, fu colpito a morte da una raffica di MP-40 sparata dai paracadutisti. Quando il nucleo da ricognizione tedesco entrò in Assergi, fu attaccato da militari italiani appostati negli edifici. Ancora una volta i tedeschi crivellarono con le loro armi automatiche le posizioni degli avversari, costringendoli a cessare il combattimento; uno di loro, Giovanni Natali, rimase ucciso, mentre altri due carabinieri furono feriti da una bomba a mano lanciata dai tedeschi. A questo punto quasi tutti i carabinieri si resero conto di essere stati attaccati da una forza molto superiore e si ritirarono …”
Per concludere, allego una fotografia che ritrae mio nonno all'epoca in cui faceva parte della banda partigiana Giovanni Di Vincenzo. Il suo aspetto non doveva essere molto diverso da quello che aveva all'epoca degli avvenimenti narrati".



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