San Franco: la figura dell’eremita che riconcilia l’uomo a Dio e alla natura

di Fulgenzio Ciccozzi

Ignazio Silone così si esprimeva nel sintetizzare l'aspetto orografico, sociale e spirituale delineatosi in Abruzzo nei secoli passati: “ Nel quadro severo delle sue montagne e nelle difficili condizioni di esistenza da esse determinate, il profilo spirituale dell'Abruzzo è stato modellato dal cristianesimo: l'Abruzzo è stato, attraverso i secoli, prevalentemente una creazione di santi e di lavoratori.” E' in tale descrizione che si inserisce perfettamente la figura di San Franco. Essa, inoltre, si coniuga perfettamente con l’“eco pensiero” odierno che sollecita le coscienze verso una rinnovata sensibilità nei confronti dell’ambiente che ci circonda. Egli, infatti, fu un eccezionale mediatore tra l’uomo, la flora e la fauna che in essa trovava ricovero e protezione. L’uomo Franco si affaccia alla vita terrena nel XII secolo, un periodo in cui erano in  corso importanti cambiamenti che anticipavano quello che sarebbe accaduto nel secolo successivo: la nascita dell’Aquila. Il giovane pastore lasciò il luogo in cui crebbe (Roio Piano) per intraprendere la vita conventuale nell'Abbazia di San Giovanni di Collimento, a Lucoli. La morigeratezza dei suoi principi fece sì che la sua scelta esistenziale declinasse verso percorsi spirituali più austeri ed essenziali, a stretto contatto con la natura, con la quale entrò in perfetta simbiosi nella continua ricerca della perfezione e quindi della santità. Gli animali, nel suo caso in particolare l’orso e il lupo, non furono considerati dall'anacoreta antagonisti dell’uomo, ma coinquilini dello stesso habitat con i quali era necessario imparare a convivere, seguendo i canoni formulati dalla dottrina cristiana per cui ogni creatura è un segno riconducibile a Dio e come tale va amata e rispettata. La ricerca di posti più remoti lo porterà a vagare tra i monti orientali dell'aquilano, futuro e naturale scenario del suo eremitaggio, dove troverà spesso accoglienza tra gli abitanti di Assergi. L’amore per quei luoghi, che si sintetizzò con un perfetto connubio tra l'uomo e l'ambiente, gli è valso il riconoscimento di “patronus” del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. Attraverso i suoi miracoli “agresti”, il religioso ci propone, con una visione strettamente taumaturgica, il dialogo tra la natura e l’uomo, soprattutto con una terra, la nostra, a volte un po' inquieta. E' proprio attraverso le peculiarità di questi luoghi che oggi tutti noi dobbiamo serenamente confrontarci e alacremente, per quanto possibile, intervenire affinché gli spazi antropici si coniughino perfettamente con il paesaggio alpestre circostante. Pertanto, è pacifico pretendere che gli elementi insediativi (più o meno sparsi) che costituiscono gli abitati, dovranno essere resi più sicuri dal punto di vista strutturale ed ecosostenibili dal punto di vista ambientale. La difesa e il rispetto di questo immenso parco naturale che i nostri figli ci hanno prestato e che Dio ci ha donato è un obiettivo che non dovremmo mai perdere di vista, anche in funzione dei benefici che la nostra gente e soprattutto le future generazioni potranno trarne. La domanda che dovremmo dunque porci è quale sia il futuro possibile degli abruzzesi che risiedono in queste plaghe in cui la natura si esprime in tutta la sua forza e la sua bellezza? La risposta può essere sommariamente desumibile dai seguenti sette predicati verbali: conoscere, rispettare, adeguare, razionalizzare, intraprendere, divulgare, perseverare. La green economy, con tutto l'indotto (turismo religioso compreso, in cui il culto di San Franco potrà facilmente trovare i suoi spazi), può anch'essa contribuire a dare una chance in più alla nostra regione orgogliosamente definita “Cuore verde d'Europa”.
 



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