MUSSOLINI – FINTO PRIGIONIERO AL GRAN SASSO

di Marco Petrelli – Giorni confusi e drammatici quelli del Settembre 1943. Il 9, poche ore dopo la proclamazione radio dell’Armistizio (comunicato alle h. 19 dell’8), i regnanti sabaudi e lo Stato Maggiore del Regio Esercito si concentravano nelle città di Pescara ed Ortona dove unità della Regia Marina li avrebbero condotti a Brindisi, città non ancora occupata da alleati o tedeschi.

E Mussolini? L’Abruzzo nel settembre di 69 anni fa ospitò, in un solo colpo, il Re e il Primo Ministro del Regno d’Italia. Entrambi in situazioni non piacevoli: se Vittorio Emanuele macchierà a vita il nome di Casa Savoia con una fuga poco onorevole e coraggiosa per un capo di stato, Mussolini era detenuto all’albergo di Campo Imperatore, a oltre duemila metri d’altezza, in uno stabilimento sciistico realizzato, ironia della sorte, proprio dal Regime.

Gaeta, Ponza, La Maddalena, Bracciano, Gran Sasso. Tante sono le località che ‘ospitano’ il prigioniero Mussolini diventato, dopo Cassibile, un personaggio scomodo per Badoglio e i Savoia chiusi tra due fuochi, gli Alleati che chiedono un rapido ritiro dell’Italia e i tedeschi.

Per circa due settimane guardie di custodia, personale dell’albergo e pastori di Campo Imperatore si ritroveranno faccia a faccia con chi, fino a pochi mesi prima, parlava loro solo dalla radio o dal celebre balcone di Palazzo Venezia.

Un personaggio certo non di secondo piano in una situazione del tutto nuova: niente cineoperatori, gerarchi impettiti e folle festanti, solo poliziotti e intorno il silenzio della montagna abruzzese che cela agli occhi del mondo l’inusuale e nel contempo ingombrante presenza.

Resta un fatto. Come mai, nella precipitosa fuga verso Brindisi, Vittorio Emanuele III e Badoglio non recano con sé l’ex primo ministro? Le condizioni della resa italiana erano molto dure. Resta dunque enigmatica la scelta di non prelevare il detenuto prima di giungere ad Ortona.

E poi i tedeschi: il 9 settembre reparti germanici già combattono nella Capitale. A Salerno gli americani sono inchiodati sulle spiagge. L’ex alleato, in virtù delle disposizioni dell’operazioneAlarico, aumenta la sua presenza sul territorio italiano, disarmando ed arrestando intere divisioni del Regio Esercito. Eppure la colonna dei generali e del sovrano in fuga non incontra resistenza. Il 12 settembre ecco arrivare al Gran Sasso i paracadutisti che, senza colpo ferire, prelevano il Duce dall’albergo.

Nei libri di scuola e nei testi accademici si parla di detenzione e poi di liberazione di Mussolini. Ma si sa, spesso la storia, soprattutto quella ‘scolastica’, all’analisi attenta e rigorosa preferisce una narrazione più generica e certamente meno affascinante degli eventi.

Affascinante, proprio così. Solo lo studio e la raccolta di testimonianze, il confronto delle fonti, l’assidua e costante ricerca ricrea attorno ad un fatto quell’importanza e quell’interesse di cui è stato ingiustamente privato, chiuso e stipato in un paragrafo o in un capitolo di un sussidiario.

Un fascino cui non ha resistito Vincenzo di Michele, giornalista romano, classe ’62 che, come i colleghi Giampaolo Pansa e Arrigo Petacco, ha tentato di tracciare i contorni di una vicenda poco nota, che la vulgata storica ha spesso considerato marginale nel più ampio e sanguinoso contesto della campagna d’Italia.

Pastori, commercianti, camerieri. Loro i veri protagonisti diMussolini, finto prigioniero al Gran Sasso (Vincenzo di Michele, Curiosando editore, Firenze, 2011). Una storia fatta dagli ultimi, proprio perché gli ultimi furono coloro che ebbero maggiore occasione di incrociare il Duce, di rivolgergli uno sguardo, una parola in quella che tutto sarebbe potuta essere eccetto che una vera e propria prigionia.

Il Duce era libero di muoversi, gli agenti di custodia mantenevano nei suoi confronti quel distacco che, in carceri e centri detentivi, certo non è assicurato a comuni condannati; inoltre, da non sottovalutare, l’assoluta mancanza di difese attorno all’albergo, facile preda in caso di attacco nemico o di tentativi di liberazione vari ed eventuali.

I montanari abruzzesi fotografarono coi loro occhi l’evolversi degli eventi, dal ventotto agosto all’atterraggio degli alianti del generale Kurt Student, comandante dei fallschmirjager ( i parà della Luftwaffe, l’arma aerea tedesca) il 12 settembre (OperazioneQuercia). Quegli scatti della memoria hanno poi alimentato le pagine di appunti dell’autore che, con stile lineare e un taglio giornalistico, ha ricostruito una vicenda che, non fosse vera, parrebbe un romanzo di Ken Follet o di Frederick Forsyth, con un Gran Sasso sfondo di situazioni avvincenti e in alcuni casi surreali.

Surreale come la foto scattata pochi istanti dopo l’ingresso dei tedeschi nell’hotel, con un Mussolini sorridente attorniato da soldati tedeschi ed italiani, allegri e felici come in una foto ricordo da mostrare ai nipoti, in un angolo di Italia che pare lontana dalle sanguinose battaglie di Cefalonia e Porta San Paolo che vedono contrapposti gli ex alleati.

 



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