Province, cancellate Teramo e Pescara

 Fino a ieri la disputa è stata virtuale, basata su voci e indiscrezioni. Ma ora carta canta: secondo la delibera del Consiglio dei ministri approvata ieri mattina, sono solo due le Province abruzzesi che rispettato i criteri minimi di sopravvivenza: L’Aquila, perché capoluogo di regione, Chieti perché ha una popolazione superiore a 350 mila abitanti (ne ha 397mila) e una superficie superiore a 2.500 chilometri quadrati (la supera di appena 88 kmq). Pescara e Teramo sono sotto i limiti e destinate ad essere accorpate. Fino alla vigilia del Consiglio dei ministri anche Chieti era fuori, perché il testo entrato a Palazzo Chigi parlava di una superficie minima di 3mila kmq, poi abbassata. Ma nel combattutissimo Monòpoli che si è sviluppato nei giorni scorsi dopo il varo del decreto sulla spending review, l’ente teatino si era già annessa Pescara con sequela di polemiche e lunga coda di post su Facebook. Non è stato però tempo perso. Perché da oggi tocca agli abruzzesi lavorare per presentare al governo una proposta sensata di accorpamento delle Province. L’ente chiamato al lavoro è il Cal, il Consiglio delle autonomie locali, che il presidente del Consiglio regionale Nazario Pagano ha convocato per l’11 settembre. Il Cal dovrà prendere una decisione entro 40 giorni dalla comunicazione della direttiva (il tempo a disposizione non è molto visto che si riuniscono proprio tra 40 giorni), in caso contrario deciderà il governo. Lo farà comunque entro 20 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione. Tempi strettissimi dunque per una materia che appare incandescente. Le ipotesi che si fanno sono due: accorpamento di Pescara con Chieti e di Teramo con L’Aquila, oppure formazione di una terza provincia Pescara-Teramo (ma non è ancora chiaro se il governo permetterà la costituzione di nuove province derivanti dalla fusione di enti sottodimensionati). La partita territoriale (e campanilistica)però appare superiore all’effettivo peso istituzionale che assumeranno i nuovi enti. Perché secondo il decreto della spending review, alle Province sopravvissute (43 su 107) resterebbero le competenze sull’ambiente (tutela e valorizzazione) e sulle strade (provinciali) mentre le deleghe pesanti sulla formazione, il lavoro e le scuole dovrebbero passare ai comuni assieme «ai beni, alle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connessi alle funzioni stesse». Contemporaneamente lo Stato dovrà ridisegnare la mappa degli uffici decentrati sulla base dei nuovi confini provinciali. «Siamo chiamati a fare una stagione di riforme incredibili», dice il presidente della Provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio, referente abruzzese dell’Unione delle province italiane. Non sarà facile. In Abruzzo nei giorni scorsi alcune forze politiche si sono mosse per mettere paletti e avanzare proposte. Il Pdl pescarese ha ridisegnato un Abruzzo con due province: l’Aquila e la Appennino Adriatica (Teramo-Pescara-Chieti con Pescara capoluogo). Ieri uno dei firmatari della proposta, il consigliere regionale Lorenzo Sospiri, l’ha rilanciata: «Il governo non ha scelto quali Province verranno soppresse o accorpate, quindi nessuno ha mai detto che Pescara verrà sacrificata rispetto a Chieti. Anzi», dice Sospiri, «dopo la prima lettura della manovra, riteniamo ancora più fattibile e utile la costituzione della grande Provincia Pescara-Teramo-Chieti, che ci consentirebbe di razionalizzare la distribuzione territoriale evitando che alcune città del teramano abbandonino l'Abruzzo per chiedere asilo alle Marche. Ma soprattutto, prima di leggere ipotesi azzardate, è evidente che, seppur dovesse esserci un accorpamento solo tra Chieti e Pescara, la scelta del capoluogo di Provincia cadrebbe sulla città principale, Pescara». Laconico il commento di Di Giuseppantonio: «Se si è ragionevoli ci si può mettere d’accordo».

 



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