Controlli nel cantiere del convento delle suore di clausura a Paganica

La Direzione investigativa antimafia (Dia) varca anche la soglia di un convento di clausura: quello di Santa Chiara a Paganica. Gli investigatori dell’antimafia e quelli del pool interforze, diretti dalla prefettura, hanno controllato il grosso cantiere a Paganica, avviato per il restauro del monastero di clausura di Santa Chiara, fortemente danneggiato dal sisma di tre anni fa che aveva inghiottito anche la badessa, suor Gemma Antonucci. Nella struttura conventuale, gli investigatori dello Sco della questura, dei carabinieri del reparto operativo, dei militari del Gico delle Fiamme gialle e i Forestali, hanno controllato diverse società, uomini e mezzi trovati a lavorare.
Durante i controlli, non sono mancati momenti di imbarazzo quando un appartenente alle forze di polizia impegnato nel controllo è entrato nella sede temporanea del convento, che si trova attaccato alla vecchia sede con l’intento di chiedere informazioni alla nuova madre badessa. Per l’investigatore è risultato inutile chiedere ogni informazione visto che le ferree regole in vigore nei conventi di clausura vietano alle clarisse di entrare in contatto con persone esterne. Alla fine l’investigatore, avendo intuito l’errore commesso, si è portato all’esterno della struttura dove in un secondo momento è riuscito a parlare con la badessa, unica a poter interloquire con soggetti esterni. Il controllo antimafia non ha fatto emergere irregolarità. La presenza delle clarisse all’Aquila, risale al 1447, quando la Beata Antonia da Firenze e San Giovanni da Capestrano, fondarono il monastero dell’Eucarestia, successivamente di Santa Chiara Povera. «Desideriamo ritornare a Paganica e di lì ripartire per essere una piccola luce che illumina la notte e un seme di speranza; ricostruire proprio quel luogo per il quale la Madre ha dato la sua vita fino in fondo affinché il chicco di frumento, caduto in terra, porti molto frutto e il vaso di alabastro spezzato continui a spargere il suo profumo», avevano scritto le clarisse in un opuscolo stampato per la raccolta dei fondi necessari per la ristrutturazione del complesso monastico danneggiato.



 



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