Non è ancora storia il “rapimento” di Benito Mussolini dal Gran Sasso

E’ ancora storia controversa, a distanza di 69 anni, come L’Aquila e l’Abruzzo entrassero negli avvenimenti epocali della fine del 1943: il 9 la fuga ignominiosa del re da Ortona e il 12 il “rapimento” di Mussolini dal Gran Sasso. Dei due avvenimenti, che segnarono profondamente la storia italiana, non meno di quella mondiale, destò e desta il maggiore interesse il “rapimento” (altro che “liberazione”) di Benito Mussolini, in seguito all’”operazione quercia” attuata dai paracadutisti della Wehrmacht, comandati dal maggiore Otto-Harald Mors e dal luogotenente barone de Belepsch. Operazione che “stupì il mondo” – come aveva ordinato Hitler – attribuita falsamente per anni alle SS e in particolare al capitano Otto Skorzeny.
In seguito alla quale, come la storia narra, Mussolini cadde sotto il dominio di Hitler dovuto – sostengono Zavoli, Spinosa e chi scrive – in seguito ad un accordo tra badogliani e tedeschi per lo “scambio” con i Savoia. Dallo stesso capo del nazismo fu costretto a ricostituire il fascismo in Italia con la repubblica sociale di Salò.
Cosicché i destini di Mussolini e di casa Savoia, seppur diversi nella conclusione, ebbero la “ventura” di incontrarsi in terra d’Abruzzo, non per caso, ma per un ben predeterminato piano, per il quale fu giocata una serrata e tragica “partita” politica, strategica e militare, che coinvolse l’Italia non meno che la Germania, gli Usa, l’Inghilterra, l’ex Urss e finanche il Giappone.
Alla caduta del fascismo, alle 17,30 del 25 luglio, Mussolini fu arrestato da alcuni ufficiali del Carabinieri, all’uscita da Villa Savoia, residenza del re Vittorio Emanuele III. Dapprima fu relegato a Ventotene (Latina), poi a Ponza. Il 7 agosto fu trasferito nella villa Weber de La Maddalena, per poi, il 28 agosto, giungere a Vigna di Valle da dove, a bordo di un’autoambulanza, raggiunse la base della funivia del Gran Sasso, per soggiornare nella “Villetta” fino al 6 settembre quando fu trasferito nell’albergo “Savoia”, dove rimase sette giorni, prima che la Wehrmacht lo prelevasse per condurlo da Hitler, contrariamente ai desideri espressi dal Duce che avrebbe voluto tornare nella sua Predappio.
La “prigione più alta del mondo”, come il Duce definì l’albergo di Campo Imperatore entrandovi, era stata approntata fin dal 10 agosto del ’43, dall’allora vice Podestà e commissario del centro turistico del Gran Sasso, l’avvocatro Ugo Marinucci. Il quale – come ci riferì nel corso di un’intervista – ricevette dal prefetto Biancorosso (l’unico a conoscere i piani di Badoglio) l’ordine di evacuazione, per ragioni di guerra, dell’intera area del centro turistico: dalla “Villetta” della base della funivia, all’albergo “Savoia”, alla vasta piana di Campo Imperatore da dove furono allontanati tutti i pastori con le loro greggi. Tra il 16 e il 25 agosto, riuscì ad organizzare lo sgombero dell’intero comprensorio, “senza sapere – come dichiarò nel corso di un’itervista – fino alla mattina del 28 agosto chi dovesse soggiornarvi”.
Licenziò tutto il personale dell’albergo e della funivia (compresi i componenti di un’orchestrina), ad eccezione della direttrice dell’albergo che fu sostituita il 30 successivo dal maestro di sci Domenico Antonelli, Mantenne in servizio una sola cameriera, Elisa Moscardi che servì il prigioniero fino al momento dell’arrivo dei tedeschi, ed il capotecnico della funivia Remo Lalli.
Chiuse l’ufficio postale di Campo Imperatore, istituito quattro anni prima, inviando timbri e moduli all’ufficio di Assergi che successivamente consegnò il materiale alla direzione provinciale delle poste.
La prigionia si svolgeva, per così dire, in un certo clima di tranquillità. Il Duce si alzava presto, dopo aver trascorso metà notte a leggere ed a scrivere. Scendeva dal suo appartamento, quello eufemisticamente chiamato reale al secondo piano, per passeggiare o per intrattenersi a giocare a carte con il commissario Gueli, il tenente dei carabinieri Faiola ed il direttore dell’albergo, Domenico Antonelli. Perse però questa
a partire dalla sera dell’ 8 settembre, quando fu reso noto che a Cassibile in Sicilia era stato firmato l’armistizio.
Il giorno dopo Mussolini ebbe la notizia della fuga della famiglia reale, che aveva lasciato Roma per imbarcarsi sulla nave “Baionetta”, ancorata a largo di Ortona a mare, per raggiungere Brindisi.
Questi due avvenimenti furono per Mussolini
di un concordato intervento dei tedeschi per la sua . Tuttavia sperava che lo liberassero gli italiani. Non disse mai la milizia fascista.
Il 10 settembre, apprese che il
tra Badoglio e gli anglo-americani contemplava la consegna del Duce agli Alleati. Dopo averne avuto conferma dai notiziari radio tedeschi (egli conosceva bene la lingua tedesca), durante la notte successiva scrisse una lettera al tenente Alberto Faiola, chiedendo all’ufficiale di fargli avere la pistola d’ ordinanza per mettere fine alla sua vita non essendo per lui sopportabile l’ idea di essere . Faiola ribadì di avere ordine di uccidere il prigioniero se l’ albergo fosse stato attaccato. Conferma che durò l’espace d’ un matin, poiché il giorno seguente l’ ispettore Gueli, dopo un colloquio all’ Aquila con il Prefetto Rodolfo Biancorosso, trasmise a Faiola un secco ordine: . Si stabilirà poi che tale frase in codice annullava gli ordini precedenti, che prevedevano l’ eliminazione del prigioniero in caso di attacco tedesco, e intimava la consegna di Mussolini agli stessi, senza alcuna resistenza. Come avvenne. Non fu sparato, infatti, neanche un colpo di fucile, quando più tardi, tra le 14 e le 14.15, dinanzi al breve spiazzo dell’ albergo planarono nove alianti della Wehrmacht. Mussolini nello stesso pomeriggio fu condotto dapprima a Pratica di Mare e poi a Monaco, dove il giorno successivo incontrò il Fuhrer, con il quale concordò la costituzione della Repubblica Sociale Italiana, finita tragicamente il 25 aprile del 1945.


- di Amedeo Esposito -

 


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