A Paganica un museo dei carri d'epoca

di Raffaele Alloggia - «Stimolato dai racconti del padre e per aver ereditato la biga del nonno, Concezio Cacio di Paganica, a soli 13 anni iniziò, quasi per gioco, un lavoro di conservazione e restauro, la cui passione dopo quasi 30 anni, è sempre più forte. Oggi, dove una volta c’era l’ovile e il fienile, su un’area di oltre 300 metri quadrati, Concezio ha realizzato un museo di circa 50 tra carri e carretti agricoli, provenienti da più regioni d’Italia, l’area è fornita anche di un laboratorio – con semplici attrezzature in parte costruite da lui stesso – necessario per la costruzione di pezzi occorrenti per il ripristino di alcune parti dei carri. La sua, da sempre è stata una famiglia di allevatori di ovini il cui gregge si aggirava sui 600 capi, suo nonno raccontava della transumanza con le pecore che andavano dai pascoli di Campo Imperatore al Tavoliere delle Puglie. Poi, con quella biga il nonno iniziò a commerciare pecore e agnelli per le fiere di tutta la Regione e fu proprio alla fiera di Pratola Peligna, che il giovane Concezio si innamorò di una “mambrucca” (carro a quattro ruote tipico della zona) e il padre vista la passione, gliela comprò. A 22 anni perse il padre ma con sacrifici ha continuato a collezionare i carri alcuni dei quali provenienti da Paganica stessa come quello di Pasquantonio Castellano, quello di don Silvio Biordi, Angelo Rotellini, Pasquale Marziani, Alfredo Bernardi, Clodomirro Zugaro, Peppe Moro e Silvio Rossi, mentre altri provengono dal circondario come quelli di Ettore Mastropietrodi Sant’Elia, da Cansatessa quello di Turiddu Bafile, quello di Tito Iezzi da Pescomaggiore, da Coppito quello di Sabatino Ciavola. Tutti gli altri provengono da altre zone dell’Italia centrale: il Teramano, il Pescarese, dalla Sabina, dalla Valle Peligna, dal territorio umbro e l’ultimo acquisto è dell’aprile 2012, dal territorio emiliano romagnolo. Nella collezione, c’è anche il carro con il quale fu trasportata negli anni 50-60 del secolo scorso, la terra degli scavi delle fondazioni dell’ovile oggi museo. Gli esemplari esposti sono stati costruiti dagli inizi del secolo scorso, fino agli anni Cinquanta, sono catalogati in base alla zona di provenienza, alla tipologia del carro e alle differenti caratteristiche tecniche. A completamento della collezione, ci sono molti componenti singoli dei vari carri. Il terremoto fortunatamente non ha arrecato danni allo stabile, per cui oggi il museo, che Concezio ha dedicato al padre per averlo supportato e incoraggiato, è agibile e l’ingresso è gratuito, esso è visitabile previo contatto telefonico o per e-mail, oppure tramite il sito Internet www.carridepoca.it . Insomma un museo delle “Ferrari” della Civiltà Contadina”; quella Civiltà che dopo essere stata per millenni la più comune forma di vita degli uomini, nel giro di pochi anni è scomparsa sotto i nostri occhi e come possiamo vedere anche in questo caso, è già diventata oggetto da museo etnografico, mentre sbiadite fotografie in bianco e nero documentano le fatiche dei nostri antenati nei campi. I carretti venivano costruiti da abili falegnami chiamati “facocchi”ed erano distribuiti un po’ in tutto il territorio. A Paganica, chi ha una certa età, certamente ricorda la famiglia Pietrangeli che aveva la falegnameria e segheria nei pressi di Fonte Vecchia e sfornava carretti dipinti di rosso e blu per tutto il comprensorio. Essi trainati da asini, cavalli o buoi, divennero fino agli anni Sessanta, indispensabili per riportare dai campi alle aie tutti i prodotti della terra, mentre d’autunno, colonne di carri e carretti trasportavano le barbabietole da zucchero alla stazione di Paganica per essere trasportate poi, tramite vagoni ferroviari, allo zuccherificio di Avezzano. In riferimento a “L’Aquila Capitale della Cultura 2019”, ritengo», sottolinea ancora Alloggia, «che se per quella data sarà allestita l’area museale al Palazzo Ducale di Paganica – dove dovrebbero essere esposti gli oggetti della Civiltà Contadina – le sculture di Giovanni De Paulis e i reperti archeologici di Angelo Semeraro, con il museo dei carri in questione, e altre realtà esistenti in loco, Paganica potrebbe dare un valido contributo per il raggiungimento dell’obiettivo. Da notare come Concezio Cacio e Semeraro – tra l’altro sono parenti in quanto la madre di Semeraro era della famiglia dei Cacio – abbiano, in tempi diversi, realizzato un proprio museo».

 



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