Il silenzio del fiume malato

- di Stefano Leone - In una mattinata freddissima ma asciutta e lievemente assolata anche il fiume Pescara, la dove la sua malattia è più aggressiva cioè nel tratto del porto canale, sembra voler aspettare in silenzio la fine di tutti, la fine del mondo. Anche lui, come molti assennati e poco inclini a rincorrere oroscopi e oracoli, sa che non avverrà ma rimane comunque nel suo silenzio. La città è da un’altra parte, è indaffarata a sfangare la giornata come decine di altre volte. Lui, il fiume, è qui nel suo letto ai cui argini giacciono barche ormai con le ghiglie imputridite da salsedine e alghe; poco più in la, anche loro oggi in silenzio, i marinai con il loro presidio. Vogliono stare vicini al loro fiume che silenzioso aspetta, aspetta domani ma spera di riflettere ancora mille altre albe dal colore blu elettrico perché spera di tornare a muoversi con quelle scie solcate che solo lui sa disegnare al passaggio di ogni barca. Questo silenzio, alla vigilia di una fine del mondo annunciata ma che serve solo a sbrindellare qualche aperitivo in più, porta alla mente un altro silenzio che avvolge un’agonia simile a quella del fiume: le bianche piste innevate del Gran Sasso d’Italia, accarezzate da un pallido sole ma silenti e agonizzanti anch’esse per la chiusura degli impianti che ne fanno la vita. Dal silenzio del porto al silenzio delle piste, l’acqua e la neve, il mare e la montagna in un Abruzzo, che qualcuno di rara e grossolana ignoranza crassa scrisse con due b, che vuole andare oltre. Oltre il silenzio di questa acqua, oltre il silenzio di quelle nevi che vestono questa regione anche oltre il 21 dicembre.    

 
 



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