SANT'AGNESE, LA MALELINGUA SI FA ARTE; FESTA A L'AQUILA TRA TEATRO E TAVOLINI

Eccentrica, fuorviante, persino postmoderna, quella rosa curiosa stretta tra labbra di un antico mascherone, dall’aria barbuta, simpatica, insolente. Uno stemma, un simbolo, che porta il nome di un culto, di una tradizione ultracentenaria.

Si chiama San’Agnese, ma in verità con la beatissima santa sembrerebbe non abbia nulla da spartire, tranne l’onomastico.

Sullo stelo del dolce fiore amoroso troviamo poi tanti aculei spinosi, ma quel faccione, dall’aria un po’ contratta, non sembra in fondo infastidita dalle ispide, pungenti presenze.

È proprio vero, non c’è rosa senza spine. Ma per una festa tutta aquilana, dal nome sacro ma anche un po’ posticcio, è vero anche il contrario. In ogni caso in un mascherone la sintesi migliore e più eloquente dell’homo ridens aquilanus, il nobile popolano imbellettato da colto signorotto, dalle fattezze placide e pacioccone, sornioni e accattivanti, dalle smorfie caustiche e irriverenti. Ma sempre sul punto di sputare un segreto troppo grande, smanioso, furioso, scalmanato, che scalcia rabbioso sul palato.

Sant’Agnese, una festa, un culto, per gli aquilani, di memoria antica, che pesca tra le aureole del nostro calendario solo per ricordare agli suoi abitanti che nel mezzo di un gelido inverno è arrivato il momento di uscire di casa, riunirsi tra amici, tra gruppi, congreghe, confraternite, associazioni, comitati (magari inventandone di nuovi) e incontrarsi in una festosa conviviale all’insegna della maldicenza.

Dire quello che si pensa e agire così come si parla non è da tutti. Essere un perfetto ‘agnesino’ diventa così una bella, non semplice ambizione per ogni aquilano che si rispetti davvero: ma se l’ambìto titolo di priore (l’alto riconoscimento per il ‘primo tra i loquaci’) non è cosa da tutti, c’è sempre posto per altre cariche preziose: ju presidente, ju vice, la mamma deji c..deji atri , la lavannara (chi stende con gusto operoso i ‘panni’ altrui), la lima sorda, ju zellusu (il capriccioso).

Ma poi ancora, per non fermarsi a quelle istituzionali, altre stravaganti, buffe attribuzioni - ju mistichinu, ju capisciò, la recchia fredda, quella zozza, tanto per citare le più colorite - che la fantasia dei partecipanti inventa col gusto di ‘sparlare’.

Ma attenzione: le nobili lingue lunghe e biforcute potranno essere insolenti, mordaci, irriverenti, ma mai cattive o ingiuriose. Per un giorno anche i permalosi più inguaribili dovranno ‘sopportare’ peste e corna dai loro amati giurati, complici ideali di una serata indimenticabile, irrinunciabile.

Altro che maledette queste malelingue, bene-dette semmai dalla stessa santa che in fondo le protegge nel tempo, anche se nascosta, in un ‘loggione’, divertita spettatrice di un teatro vivo, esemplare, affrescato dal gioco del guizzo e lo sberleffo, dai lazzi boccacceschi, trovate, sgambetti e sferzate carnasciali, tipici di una certa commedia dell’arte, sempre più fresca e vitale, oggi più attuale che mai.

“La tradizione di Sant’Agnese buca, attrae, piace anche ai giovani perché si chiama gossip - confessa ad AbruzzoWeb il presidente della benemerita Confraternita Angelo De Nicola, scrittore e giornalista aquilano - ed è questa la sua forza vincente, la sua straordinaria attualità”.

“Vogliamo che il carattere tipicamente popolare di questo appuntamento non si perda - assicura - ed è per questo che abbiamo scelto una formula nuova, non necessariamente accademica ma doverosamente colta, per suggellare ma soprattutto esportare il presidio della nostra identità, specie attraverso la nostra ‘lingua madre’: capiamoci bene, parlo dell’aquilano”.

Da giovedì dunque e per quattro appuntamenti formato week end prima del solenne giorno del 21 gennaio, sono iniziate le giornate all’insegna del riso e del sorriso, di un sano e gustoso divertimento con occasioni di spunti, teatro, riflessioni.

A tenere a battesimo questa imperdibile quattrogiorni, è stata la consegna giovedì della targa del Socrates Parresiastes, all’arcivescovo di Chieti-Vasto monsignor Bruno Forte, cui è seguita ieri la seconda giornata tutta dedicata al dialetto aquilano, con convegni, dibattiti, teatro.

La consegna del ‘Palio di Sant’Agnese’ alla confraternita vincitrice è stato il migliore e più atteso momento della giornata. Oggi due appuntamenti di alta cultura (tanto per non dimenticare le origini più nobili del rito) sempre con un convegno mattutino sul dialetto come ‘presidio dell’identità civica’ (presso il liceo Classico “Cutugno”) e con la presentazione nel pomeriggio del libro di Paola Aromatario (One Group Edizioni) “Maldicenza e delitto” presso l’auditorium Sericchi della Carispaq.

Domani l’ultima giornata di questa lunga appassionante ‘anteprima’, con la consegna del Palio di Sant’Agnese alla Confraternita vincitrice e la premiazione del vincitore dell’Agnesino 2013.

Sarà una lingua di 99 metri di dolcezza, di vero torrone aquilano doc Fratelli Nurzia, a chiudere ufficialmente l’evento con appropriata ironia. “La nostra festa è unica - ha commentato parlando a questo giornale il professore Tommaso Ceddia, storico presidente della benemerita Confraternita - e non ce ne sono eguali in Italia, nessuna con la nostra identità. Il fatto che noi abbiamo attribuito all’evento un colore culturale non incide sul senso popolare della festa, che deve rimanere tale. Non avrebbe senso pensarla in altro modo”.

E allora quale occasione migliore per rubare dalle labbra di un Pasquino aquilano, un frammento, un bisbiglio, dei suoi migliori versi, nella speranza che il suo monito sia per tutti gli aquilani il motto più appropriato e congeniale?

E allora, sottovoce, ma siano bene intese: “..attenti alle squadracce ‘e santagnese, che co’ la lengua non se so’ mai arrese!”.



- da Abruzzo Web -


Guarda il video: Sant'Agnese Jugulata

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