Paganica, macerie da rimuovere

Da una parte le piastre del Progetto Case, le piattaforme multicolori che inseguono l’orizzonte. Dall’altra le rovine del paese vecchio, tra muri crepati e puntellamenti in legno. In mezzo un campo di rugby dove ogni domenica giocano i rossoneri del Paganica e il paese si ritrova a fare il tifo sulla tribunetta. La squadra come simbolo di rinascita e di voglia di non mollare. Quello stesso spirito che tiene unita la comunità paganichese nel chiedere risposte da una ricostruzione in affanno, a quasi quattro anni dal sisma. AL MONUMENTO. Alle tre del pomeriggio è tutto fermo: bar, negozi – quei pochi rimasti attivi – così come l’orologio di piazza Umberto I. Le lancette segnano le quattro perché i paganichesi hanno voluto così, quasi a voler certificare un piccolo passo in avanti. Il monumento ai Caduti, invece, lo hanno voluto lasciare come rimasto con la base leggermente girata, per una rotazione prodotta dalla scossa del 6 aprile. «È il nostro modo di ricordare quella notte e i segni che ha lasciato sul nostro paese», spiega Ugo De Paulis, presidente di circoscrizione fino alla scorsa legislatura. Adesso le circoscrizioni non esistono più, come tante attività del centro storico. Dalle vetrine intuisci che qui c’era un bar, il «Fashion cafè», lì un parrucchiere, un po’ più avanti una birreria. «Ora il titolare si è ricollocato e fa il carrozziere», sottolinea Daniele Ferella, consigliere comunale eletto in una lista civica, referente per la frazione, insieme ad Alì Salem (Pd). Sono solo referenti morali, per la verità, visto che il sindaco non ha assegnato deleghe per le frazioni. Ma tocca a loro farsi carico di questioni grandi e piccole, dal piano di ricostruzione al marciapiede che si sgretola. Mentre spiega come vanno le cose, Ferella viene interrotto da alcuni passanti che gli chiedono un incontro a stretto giro per definire le specifiche di questo o quell’aggregato. «SUI TETTI». Già, perché la prima cosa che ti viene in mente salendo via del Castello è «da dove si comincia?». Difficile trovare uno stabile che stia ancora in piedi. Puoi contare le pietre o leggere le scritte dei teenager sui pochi muri rimasti integri. Tutto intorno c’è silenzio assoluto, rotto soltanto dal passaggio di un’auto sgangherata. Dalle casse si sente Radio Ciao. Da via del Rio spunta un gruppo di ragazzi, si fanno strada tra le case diroccate, sperando che i propri genitori non li vedano. Quest’estate hanno dovuto chiamare i carabinieri perché alcuni di loro si sono messi a fare del parkour (l’arte di correre e arrampicarsi negli ambienti urbani e rurali) tra le rovine, rischiando l’osso del collo. Una signora del posto è tornata a prendere dei vestiti dalla sua vecchia casa è si è trovata questi ragazzi sul tetto. Perché questo «passatempo» prevede anche la possibilità di saltare da un tetto a un altro. Il problema è che molte case il tetto non ce l’hanno più. RICOSTRUZIONE. Nessuno abita più da queste parti, neanche la signora che si è fatta assegnare un alloggio nel quartiere Case di Paganica 2. Anche Carlo Longhi ha trovato da tempo una sistemazione altrove, ma non rinuncia ad aprire di tanto in tanto la sua casa che si trova di fronte al vecchio carcere. «Avevo fatto gli ultimi ritocchi alla villetta qualche settimana prima del 6 aprile», racconta, «ma il terremoto si è portato via tutto». Il suo edificio di tre piani avrebbe anche retto la botta, ma quelli confinanti nell’aggregato sono messi piuttosto male e questo fa un po’ rabbia. Qualcosa si muove, comunque, e alcuni consiglieri, tra cui Ferella, hanno incontrato il coordinatore dell’Ufficio speciale per la ricostruzione Paolo Aielli. Certo, tante cose non sono chiare, a prescindere dalle difficoltà a lavorare con la scheda parametrica. «Penso alla prima tranche del bando dei sottoservizi: acqua, luce e gas», valuta Ferella. «Ci sono 33 milioni che saranno destinati prevalentemente all’Aquila centro. Ma lo sanno che è un problema anche qui nelle frazioni? È stato accertato, infatti, che il consumo d’acqua attuale è superiore a quello del 2008. Ciò vuol dire che ci sono delle perdite nelle condutture sulle quali nessuno può intervenire, e chiudere i rubinetti non si può perché si lascerebbe a secco tutto il paese». Del resto, gli interventi ai sottoservizi sono propedeutici alla ricostruzione. «Anche noi abbiamo bisogno del nostro smart ring di servizi sotterranei», rincara la dose De Paulis. Mentre il presidente degli Usi civici Fernando Galletti si dice preoccupato dal fatto che molti scarichi fognari non sono a norma. «Così, tante costruzioni provvisorie sorgono a due passi da canali di acqua sporca e tanta gente è costretta a vivere in queste condizioni». LE PRIORITÀ. In primo luogo, il piano di ricostruzione del centro e la rimozione delle macerie, per dare una prospettiva alla frazione. Poi però si passa alla necessità di dare risposte immediate a una comunità multi-etnica (sono tantissimi gli immigrati) che deve fare i conti con lo sviluppo caotico dei nuovi insediamenti abitativi a due passi del nucleo industriale. E poi c’è la questione della promiscuità e dei terreni demaniali, e c’è da tenere d’occhio il ricorso contro gli espropri alla cava ex Teges. Bisogna anche confrontarsi con situazioni drammatiche come la devastazione della vicina Tempera, la frazione è una delle più colpite dal sisma, con otto vittime, molteplici crolli; in seguito alla scossa si è registrato, inoltre, un abbassamento e uno spostamento delle sorgenti del fiume Vera. In tutto questo, suonano strane le parole di Galletti a ricordare che i marciapiedi realizzati nel 2007-2008 sono già tutti da rifare. Se pensi al paese distrutto è poca cosa, ma la gente di queste parti ha bisogno di quotidianità. «Potremmo installare subito dei distributori di acqua potabile, per un investimento complessivo di 25mila euro, ma il Comune non interviene. Sono costretto a lavorare in una stanza da bagno e porto metà dei documenti di lavoro in macchina», spiega Galletti indicando la sua Peugeot grigia.

- da Il Centro -



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