La rinuncia al soglio pontificio: corsi e ricorsi storici

di Fulgenzio Ciccozzi – La notizia delle dimissioni del Pontefice irrompono qui a L’Aquila in una giornata uggiosa e stranamente tranquilla. Forse questa vicenda ci colpisce in maniera particolare poiché è un avvenimento che ha qualcosa in comune con la nostra storia. Sono passati più di sette secoli da quando un illustre predecessore, Celestino V, fece per viltade il gran rifiuto. Ed è nella teca in cui è custodito il corpo dell’eremita del Morrone, nel 2009, sistemata nella devastata Basilica di Collemaggio, che Benedetto XVI pose la sua stola: forse un presentimento di quello che sarebbe accaduto di lì a qualche anno! La genialità del Papa molisano, inviso alle percezioni poetico-spirituali del sommo poeta fiorentino, poco compresa ed apprezzata, non sarà certo sfuggita al teologo tedesco. E se noi volessimo ricondurre tale gesto alla crisi della società occidentale europea che da sempre ha intrecciato i suoi destini con le vicende della Sacra Romana Chiesa?

Società nata e forgiata dall’instaurazione di un rapporto inscindibile tra potere spirituale e temporale in cui il successore di Pietro volle imprimere il suo sigillo la notte di Natale dell’800, quando Carlo Magno venne incoronato, da papa Leone III, imperatore del Sacro Romano Impero, di cui oggi l’Europa è in un certo qual modo erede. Tale imprimatur ebbe il suo epilogo qualche secolo dopo, nel 1530, quando Clemente VII consacrò Carlo V imperatore di quello stesso e ormai anacronistico Impero. Fu l’ultima volta che un Pontefice affidava e legittimava, attraverso la sua autorità, un sovrano nel possesso di un regno. In epoca carolingia la Chiesa volle chiedere protezione al sovrano franco per affrancarla dalla presenza di un occupante scomodo e difenderla dall’ avanzare dell’Islam, e nel Cinquecento chiese sostegno alla monarchia asburgica per arginare l’incalzante progredire del protestantesimo.

Oggi gli scenari che si prefigurano sono ancora più complessi e la Chiesa sembra affrontarli in maniera diversa: non ha più un tutore a cui rivolgersi, non ne ha bisogno, e i fedeli sono sempre più restii ad abbracciare i suoi insegnamenti. Il Papa è dunque solo. Tradito da funzionari poco attenti all’insegnamento della dottrina cattolica, avvinti, invece, dal canto, in questo caso materialistico, delle sirene. La perdita di valori della società occidentale, dispersi in un crogiolo di effimeri traguardi, ha trascinato con sé il sistema famiglia accompagnandolo verso una crisi che sembra irreversibile. Il difficile rinnovamento della Chiesa, che a fatica tenta di rimanere al passo con i tempi, ha contribuito ad alterare il comportamento di alcuni dei suoi rappresentanti portandoli a varcare la soglia dell’amore ammissibile e a scendere a patti con cose poco spirituali e molto più terrene, in cui i valori etici si sono lasciati ingannare dalla forza di un’economia che non fa i conti con il cuore, ma che segue con cinismo le sue opinabili regole. In tutto questo l’uomo Joseph Aloisius Ratzinger forse poco ha potuto.

Con questo gesto coraggioso probabilmente ha voluto, come un umile lavoratore nella vigna del Signore, come lui stesso ama definirsi, contribuire a dare una svolta affinché iniziasse una fase di riconciliazione dell’uomo: con se stesso e con Dio. Se non altro questa sua rinuncia resta probabilmente il suo più grande insegnamento, una lectio magistralis che ci induce certamente ad una umile e benedettina riflessione!


 



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