Pescomaggiore e le case di paglia La frazione spopolata riparte dal villaggio ecocompatibile

 La storia delle case di legno e paglia fa troppo pensare alla favola dei Tre porcellini: fuori c’è il lupo che soffia e si porta via tutto, fino a quando – finalmente – incontra una casa di pietra e deve arrendersi. Non a Pescomaggiore però, dove strutture modulari in legno con tamponature in paglia diventano gli elementi su cui si fonda il progetto Eva, il primo «Eco villaggio autocostruito» grazie a un’iniziativa spontanea di cittadini per riprendersi, non solo metaforicamente, il proprio territorio e, soprattutto, per non disgregare la comunità. 15 ANIME. Da una parte c’è il paese vecchio, un altro borgo ai piedi del Gran Sasso che prima del terremoto contava 45 anime. Ora è già tanto se si arriva a 15, l’inverno. Del resto, il sisma ha distrutto buona parte delle abitazioni e del patrimonio storico-culturale. Di fronte all’emergenza, si è pensato a costruire un nuovo paese, dalla parte opposta, attraverso autofinanziamento e donazioni da tutto il mondo, per consentire al maggior numero possibile di persone di restare a vivere nella zona, in un villaggio fatto di strutture a basso costo e a minimo impatto ambientale. NEL VILLAGGIO. Piero Lopez è l’esempio vivente di questo nuovo mondo. La sua vecchia casa, ora inagibile, si trova alle porte del borgo, a pochi metri dai Moduli abitativi provvisori, cinque appartamenti per 6-7 persone. Così è stato uno dei primi a rimboccarsi le maniche per andare ad abitare nell’Ecovillaggio. È la sua cagnolina Diana ad accogliere i visitatori davanti alla casetta, piccola e accogliente. Poi esce lui, giusto il tempo di mettere un giubbino, una felpa in pile e un paio di pantaloni. A tratti sembra un sosia di Joe Cocker. Solo a tratti però. «Per la mia famiglia era tutto pronto a marzo 2010», spiega, «grazie anche al lavoro di volontari, molti dei quali stranieri. Non è questo, del resto, un primo esempio di Ecovillaggio a livello mondiale?». Il sito del progetto Eva riporta donazioni per oltre 140mila euro, da parte di associazioni, gruppi, ordini religiosi. A questo si aggiunge un contributo di 60mila euro raccolti tra le famiglie che abitano nel villaggio. «Ma l’aiuto concreto è quello che ci hanno dato i giovani lavorando qui sul posto», prosegue Piero-Joe. «Qui davanti c’è la casa dei volontari», spiega indicando la porta accanto. La porta è aperta, aperta a tutti. Sul tavolo ci sono piatti, bottiglie, sacchetti di zafferano, ma anche penne, quaderni, matite, libri e candele. Sul muro di fronte all’ingresso c’è un buco protetto da una piccola vetrina: sta lì apposta per vedere come è messa la paglia all’interno di una struttura che appare come la baita del nonno di Heidi. Pensi che tutto questo possa in qualche modo essere a rischio incendio. In effetti il rischio c’è, ma non è colpa della paglia. «Qualche tempo fa, una casa è andata a fuoco», ricorda Lopez. «Ma non tanto la parte della paglia, quanto la struttura in legno». Davanti all’uscio, su una carriola, si vedono ancora pezzi di travi anneriti. Sull’angolo una scalinata che porta al soppalco, dove si dorme. Appesa su una colonna una chitarra classica. Al piano di sopra, davanti a un portatile ci sono Luigi e Valentina, due giovani: il primo viene dalla Calabria, la seconda dalla Basilicata ed è ricercatrice di Antropologia culturale all’università dell’Aquila. Di fronte a queste due case, le prime ad essere sorte, c’è quella dell’avvocato Dario D’Alessandro che, sin dall’inizio, ha offerto il suo supporto legale al progetto. Uno dei muri è decorato da una pittura realizzata tempo fa da due ragazzi russi. Al centro c’è un ovale con tutte le date dei principali terremoti che hanno colpito questa zona (1315-1349-1398-1456-1461 - 1703-1762-1915-2009) e la scritta «la vita que risorge dalla terra che trema». STATUTO DEI LUOGHI. Connessione wi-fi libera per tutti, con tanto di network «Eva», iniziative per la raccolta, la valorizzazione e la vendita prodotti agricoli: il progetto è tutto questo e molto altro. Ma non è una realtà che non interagisce con il resto del paese. Anzi. «Insieme agli abitanti del borgo», commenta D’Alessandro, «abbiamo redatto lo “Statuto dei luoghi”, un progetto integrato per la ricostruzione e il recupero di tutto il paese, utilizzando il bando per l’emergenza diffuso anche dal Centro servizi per il volontariato». L’elaborazione di uno “Statuto dei luoghi” è stata promossa dal Comitato per la Rinascita di Pescomaggiore e dall’associazione di promozione sociale «Misa». Il documento, introdotto da brevi cenni storico-giuridici espone le linee guida emerse nel corso di oltre un anno di consultazioni e laboratori. «È il frutto degli studi di una comunità che possiamo correttametne indicare come “il Popolo di Pescomaggiore”, la comunità degli abitanti del luogo titolari dei diritti sul demanio universale», sottolinea il giovane legale che vive in paese dal 2007. A fare il Caronte della situazione, da un lato all’altro del borgo, Paolo Pollice, 35 anni, cassintegrato che ha lavorato nella rimozione delle macerie. Uno dei sette rimasti ad abitare al paese vecchio. «Il vicino di casa è morto qualche giorno fa», spiega. «Ora, su questa strada ci sono solo io». Proprio lì, la scossa di 3,7 Richter di qualche giorno fa ha provocato il crollo della tettoia di un locale usato come ripostiglio accanto a una casa abitata. Paolo parla del castello e della chiesa madre di San Martino e di quella del cimitero, divenute riparo per piccioni. «In più», incalza, «al cimitero, mentre gli operai facevano i lavori, è stata rotta la scalinata di accesso». Il castello puntellato è abbellito da un drappo multicolore, come quelli spuntati all’Aquila. «Così lo vedono da lontano», continua Paolo indicando il piazzale. In paese c’è un B&B, «La Pennechella» di Orazio Facchinei che, pian piano, si è creato una rete di clienti grazie anche ai social network. «Volevamo fare della scuola un albergo diffuso», aggiunge Paolo. «Ma tutto è fermo». Di fronte, all’ingresso del paese, c’è un dipinto corale che reca impressi i nomi degli autori. Basta guardare da un lato per godere la vista. «Da qui messere si domina la valle».

 



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