Bagno, il sogno della rinascita Un gruppo di giovani: noi non molliamo, restiamo qui

 «Lasciare Bagno? Mai». Gabriele Speranza, Stefano Turno e tutti gli altri ragazzi del bar Maori sono rimasti legati al loro paese come i Malavoglia erano legati al mare. E tutti i giorni si ritrovano nel bar di Bagno Grande a scambiare due chiacchiere o bere una birra, anche se poi, il giovedì sera e il weekend appartengono alla movida aquila. Hanno tra i 24 e i 30 anni i ragazzi questa frazione, una delle otto di cui si compone quello che fino al 1927 è stato un Comune. Si è detto spesso che il futuro dei luoghi colpiti dal terremoto del 2009 passa attraverso i giovani: se loro restano, c’è speranza di rinascere. Altrimenti la città muore. Lo ripetono come un mantra amministratori politici e rappresentanti del mondo scolastico e universitario, ma per Gabriele e gli altri, restare è stata una scelta naturale. «Non abbandoniamo le nostre radici» dicono. Ma le radici a Bagno devono essere ricostruite quasi del tutto. Lo si vede uscendo dal bar Maori: da un lato la bellissima Valle dell’Aterno con all’orizzonte il Gran Sasso e i Monti della Laga ancora innevati. Dall’altro, verso la montagna, il paese che sembra bombardato in più punti. Tutti i centri storici delle 8 frazioni sono distrutti, come ciambelle con il buco dentro. PAESE DA RICOSTRUIRE. In via Centrale spunta, davanti alla chiesa, una casa con diversi gatti che le circolano intorno. C’è il tappeto fuori: ci abita la signora Dina. Poco più avanti, proseguendo dritto, dal comignolo di un’abitazione esce del fumo. Ci vive una pensionata di una sessantina di anni insieme al figlio: è l’unica, in tutto Bagno Grande, alla quale non è stato assegnato un alloggio map (Moduli abitativi provvisori). Difficile spiegare il perché. Pochi passi ancora e, sulla destra, ci sono altri panni stesi su una ringhiera: ci abitano un paio di famiglie di stranieri. Sono le uniche forme di “vita” che s’incontrano lungo via Centrale, la più colpita in questa parte di paese. Per il resto, la via è costituita da case distrutte. Sulle pareti rimaste in piedi di alcune di esse i vigili del fuoco hanno fatto “calare” una resina particolare, ha un colore simile a quello del cemento, ma fa pensare al materiale che si usa per curare un dente con un’otturazione. «La resina» spiega Giuseppe Bucci, giovane appassionato di archeologia e storia «è necessaria per impedire l’erosione degli spezzoni di pareti rimasti in piedi e per evitare crolli». Una tecnica che nelle altre frazioni non è stata utilizzata e dà ai resti di case l’aspetto di una colata di lava che si è raffreddata su di esse. Lungo la via Centrale e le sue diramazioni appaiono archi e archetti, realizzati dagli antichi abitanti «per proteggersi dal freddo». PIANO DI RICOSTRUZIONE. Nel piano di ricostruzione dell’Aquila, lo stralcio relativo a Bagno prevede 300 milioni di euro. Tantissimi. «Il punto è che si tratta di capire dove ricominciare e come» dice allargando le braccia a mo’ di sconforto Tonino De Paolis, presidente della Pro loco ed ex consigliere comunale. C’è ad esempio il palazzo medievale che ospitava le carceri, in piazza Palazzo. Oppure lo storico palazzo Oliva, per il quale «dovrebbero arrivare fondi per la ristrutturazione» annuncia De Paolis. L’edificio fu costruito nel 1500 da un ricco aquilano, ed è parte della storia di Bagno. Così come lo è piazza Aia Cioccia, la piazzetta più caratteristica di questa “villa”. Il piano stralcio per Bagno ha inglobato anche alcuni studi realizzati nel post-sisma dall’università di Venezia, che ha messo a punto una serie di “idee per la ricostruzione”. Intanto si attendono i milioni del Cipe destinati a Bagno. Sono come acqua per i mulini: senza quelli i 20 progetti già presentati non possono partire. «Io sono fiducioso» dice invece De Paolis «che la ricostruzione partirà entro la fine di questo anno». Lo sconforto iniziale, ora, lascia posto all’entusiasmo di immaginare che «il paese potrebbe essere ricostruito con piccoli e funzionali cambiamenti» aggiunge De Paolis. Bagno si sviluppa in altezza, con diversi livelli di abitazioni e “rioni” verso la costa della montagna. I vari livelli sono collegati tra loro con strade piuttosto strette. Si è capito subito, durante la drammatica notte del 6 aprile 2009, che quelle strade potevano essere trappole per le persone in fuga dai crolli. E le macerie in più parti hanno a lungo ostruito il passaggio dei soccorsi prima, e della circolazione di persone e mezzi dopo. Le strade sono rese ancora più strette dalla presenza di puntellamenti, come quello realizzato con i tubi per reggere un arco lungo via centrale . «Sarebbe utile, ad esempio, creare dei collegamenti con delle scalinate» propone De Paolis «che farebbero anche da via di fuga. Le strade, in particolare via Centrale, verrebbero leggermente allargate e in questo modo ci sarebbe anche lo spazio per realizzare i servizi». Ma prima di arrivare a quel punto, c’è da sedersi a tavolino e decidere come procedere. LE RADICI ROMANE. “Bagno prende il nome da ‘Balneum cum villis’”, spiega Bucci «perché il paese si compone, appunto, di 8 ville. La più importante è Civita di Bagno, che si colloca sui ruderi della città vestina-romana di Forcona». E proprio in questo punto, per un curioso gioco del destino, è stato realizzato il villaggio map, composto da 200 casette. «Ci porterà fortuna» dice De Paolis «perché ricominciamo dal passato». LE FRAZIONI. Le otto “frazioni” di Bagno hanno nomi particolari. Oltre a Bagno Grande ci sono Bagno Piccolo, Civita di Bagno, Ripa di Bagno, Lilletta, Sant'Angelo di Bagno, San Benedetto di Bagno, Vallesindola di Bagno. Lilletta è la più “giovane” e la meno colpita dal sisma. Le sue case hanno quasi tutte un colore che dà sul rosa. Le altre hanno riportato danni notevoli, con aggregati di case completamente distrutti. Ad esempio a San Benedetto, oltre alla chiesa anch’essa irreparabilmente danneggiata, c’è un quartiere andato giù come burro. E’ in questa villa che bagno conta una delle sue due vittime: un anziano. Ma l’altra vita stroncata dal terremoto è di una ragazza albanese di 12 anni travolta dal crollo della sua casa. Da allora la famiglia ha lasciato l’Italia e non è più tornata.

- da Il Centro -
 



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