Barca: troppi gufi all’Aquila Il ministro all’attacco sulla ricostruzione

 «All’Aquila troppi gufi». Attinge al gergo calcistico il ministro Fabrizio Barca che per la primavera aquilana schiera in prima fila Giuseppe Zamberletti e Gianni Letta testimonial della ricostruzione «già partita». Alberi fioriti in copertina, dunque, per «smacchiare» un’immagine che è davanti agli occhi di tutti e non ha bisogno di troppe parole. Il suo intervento pare accordato due toni sopra. «Si vanno disvelando due cose», declama il ministro a una platea con Gaetano Quagliariello in prima fila, «il tentativo di convincerci, e io ne sono convinto, da parte delle strutture della ricostruzione che esse sono in grado di programmarla e di prendere decisioni difficili. E che quindi i 140mila cittadini del cratere sappiano esattamente chi e quando potrà avere le proprie case a posto e quel residuo di 20mila persone fuori dalle loro case possano sapere quando rientrare. Esiste un programma preciso dopo quello novennale per i beni culturali. Ora c’è la stessa cosa con la ricostruzione privata. Di fondi non assegnati», dice, «ne sono rimasti pochissimi». TRE COSE. «L’Italia», incalza il ministro, «potrà capire che i 10,6 miliardi che ha doverosamente messo sul cratere della ricostruzione e l’impegno di centinaia di migliaia di cittadini e amministratori sono stati ben investiti. Il mondo, ieri notte a Boston si discuteva dell’Aquila, potrà capire che finalmente la ricostruzione non parte oggi ma ha già impegnato 8 miliardi. Non siamo riusciti a comunicarlo: il messaggio è stato coperto dal rumore. Otto miliardi dei 10,6 già impegnati, cinque spesi. Ciò è avvenuto sin dall’estate 2010 nelle periferie grazie al lavoro di tecnici a tratti anche denigrati. Sono stati aperti 2361 cantieri E. Bastano? Assolutamente no. Ma sulle basi costruite prima e sull’impegno che avviene oggi il centro storico può ripartire. Se lo capisce l’Italia e il mondo lo deve capire anche il governo. Se ci sono tra 8 e 10 miliardi, sin dalla prima riunione di governo il rifinanziamento con modalità Cassa depositi e prestiti dovrà essere sul tavolo». I GUFI. «Però», insiste Barca, «manca un ingrediente: in questa città, la sua classe dirigente, politica, del lavoro, imprenditoriale, culturale, universitaria, dei media ha soltanto a tratti – e lo dico con la franchezza e l’affetto maturato, e ce ne vuole, in certi momenti, nei confronti di questo luogo – la fiducia, in se stessi, non nel governo. Se non c’è fiducia non c’è finanziamento, programmazione, impegno che tenga. Ci devi credere». I 17 «NON È VERO». Poi il ministro si lancia in 17 «non è vero» che diventano 18 dopo un suggerimento di Chiodi. «Ecco i 17 figli della sfiducia che sono stati francescanamente convertiti. Diciassette cose che ci siamo sentiti dire. Il concorso non ha senso. Non è vero. Il 27 firmano il contratto i 300, i 50 a tempo determinato ad aprile. Secondo figlio della sfiducia: mancano le regole per l’assunzione. Non è vero. Non c’è ragione di gufare come diciamo a Roma». Dalla platea un giovane contesta: «E gli altri vincitori ve li siete dimenticati? Sono 3 anni che ho vinto un concorso e sono a spasso». Poi Barca riprende: «Quarto figlio della sfiducia: assunzioni opache e nepotistiche: non è vero. Ci sono cinque posizioni di altissimo profilo messe a bando e altri 20 formatori temporanei per i 147 che non vengono dall’esperienza dell’Aquila. Uffici speciali fermi? Non è vero. Sesto figlio della sfiducia: impossibile coordinare 56 Comuni. Non è vero, firmata un’intesa unica due giorni dopo la legge». Barca contesta altre accuse, dal decentramento alla gestione stralcio, dal parametrico alla Cassa depositi e prestiti di cui pure, tempo fa, disse: scordatevi il contributo agevolato. Promette 36 assunzioni al Genio civile e pensa ad Abruzzo engineering per smaltire le 1000 pratiche intoppate. Dice che i 2,3 miliardi Cipe possono essere usati da subito e integralmente. Annuncia una variazione di bilancio per sbloccare la «cassa». Esalta la zona franca. «Che altro possiamo dire per sfiduciarci e gufare contro noi stessi?», ironizza. Chiede a chi amministra di dare risposte ai dubbi «sacrosanti» dei cittadini. Poi l’inattesa omelia di Letta, l’attacco alle carriole («carriole piene di sfiducia») e le grida dal pubblico: vergogna. Letta viene tirato via da Nazario Pagano che si propone di pagargli un caffè per affogarci dentro le critiche. Barca tira fuori una boccetta di essenza di bergamotto calabrese. «Voi metteteci dentro lo zafferano. Per l’ottimismo».

- da Il Centro-



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