Piccole storie di follia quotidiana - di Raniero Pizzi

Per tutti quelli che parlano dell'Aquila, di quanto era bella eccetera eccetera, voglio riproporre un editoriale mai pubblicato. Lo avevo preparato per il numero di aprile di CittàMagazine, giornale che sarebbe andato in tipografia il 6 aprile 2009... Quello che è successo quel giorno lo sappiamo tutti ma forse è il caso di ricordare come davvero eravamo prima di quella data. Oggi si parla di città moderna, ma le macchinette che stiamo rimettendo sono le stesse di allora, e sarebbe preoccupante se avessero lo stesso programma. Lo ripropongo, per ricordare e se possibile per migliorare... hai visto mai?

Piccole storie di follia quotidiana
di Raniero Pizzi

PER UN PUGNO DI CENTESIMI
Sono le 18 del 26 di marzo 2009. Sto seduto abbastanza comodamente e inizio a scrivere l’ennesimo editoriale. Fuori il vento teso trasporta nuvole scure. Siamo nell’anno del Signore 2009. Sono passati quasi dieci anni dall’inizio del secolo XXI, quasi quarant’anni dallo sbarco dell’uomo sulla Luna, a sette dall’entrata in vigore dell’Euro. Viviamo nell’era dell’impossibile. In America c’è un presidente di colore. Abbiamo assistito all’esplosione di internet, dei social network, di Facebook. Possiamo andare da Milano a Roma filando a trecento all’ora senza bisogno di volare, seduti dentro un treno guardando fuori dal finestrino. Stanno per iniziare i lavori per costruire il ponte sullo Stretto, per il ritorno al nucleare, abbiamo normato il fine vita, l’inizio vita, il mezzo vita. Addirittura un simpatico signore, tra lo scetticismo generale, riesce anche a prevedere i terremoti. E’ l’era dell’impossibile, dell’incredibile, forse anche dell’improbabile. Che sia tutto bello o tutto brutto dipende solo dai punti di vista.
Perchè mi sono incartato in questo discorso complicato? Ah, ecco...
Oggi pomeriggio sono andato verso San Bernardino con la mia macchina. Davanti a me, i lettori ne saranno sorpresi, trovo un parcheggio libero. E’ sulle strisce blu. “Che fortuna” ho pensato, “quando mi ricapita. Adesso ci metto due spicci”. Mi fermo, mi piazzo speranzoso davanti alla macchinetta. Con il suo biglietto, potrò acquisire l’autorizzazione per sfruttare, anche se solo per poche decine di minuti, il prezioso suolo del centro storico cittadino. “Importo minimo 50 centesimi”, recita il piccolo cartello scritto a mano appiccicato alla meglio sul parcometro. Per mezz’ora di sosta. Metto la mano in tasca, le monetine all’interno tintinnano rassicuranti. Una, due, tre monete da 20 centesimi. Cerco ancora, non ce ne sono altre. Mi basta mezz’ora, ma dieci minuti in più sono comunque comodi. Una alla volta, voluttuosamente, come fossero ciliege, infilo le preziose monetine nella fessura. Credito 20, 40, 60. Il display sfocato conferma la bontà della mia operazione. E adesso, basta premere il pulsante verde per dare il via alla stampa del magico biglietto.
Invece del clack clack, e poi triiip triiip, la macchina emette un tintinnio sinistro, mentre il display avverte “RITIRATE I VOSTRI SOLDI”.
Effettivamente, in una buchetta in basso a destra, come per incanto sono ricomparse le mie tre monetine. Le riprendo in mano, le guardo, le scruto. Sembra tutto in regola, 3 monete da 20 centesimi cadauna, fanno 60 centesimi di euro, 1161,762 lire, la moneta andata in pensione sette anni fa. Le monetine luccicano, sembrano nuove, ci sono disegnati gli Stati dell’Europa circondati dalle stelline. Nella faccia posteriore c’è un guerriero che sembra camminare sui mattoni e, in una delle tre, una specie di tempio. Tralasciando il significato dei simboli, sembrano buone. Ci riprovo. Le infilo di nuovo nella buchetta. Con circospezione, questa volta. Una, due tre. Il display conferma, 60. Premo il pulsante verde tenendo d’occhio il messaggio dei cristalli liquidi.
“IMPORTO VIETATO”...
Cosa? La scritta rimane per un paio di secondi, poi scompare seguita dal sinistro tintinnio e dalla scritta “RITIRATE I VOSTRI SOLDI”. E le monetine riappaiono dalla buchetta a destra.
Come? Riprendo le monete. Intorno a me si è formato un capannello di persone in attesa di fare il biglietto. Li guardo con le tre monetine in mano, sperando in un loro cenno di umana partecipazione. «Fa sempre così, bisogna mettere l’importo preciso», fa uno. Come a dire “che scemo, che non lo sai che funziona così?”. Un ragazzo prova con un euro e 50. Manco a dirlo, la macchinetta li risputa schifata. Insomma, 40 centesimi sono pochi, 60 sono troppi, 1 e 50 non vanno bene. Sono costretto a lasciare lì la macchina senza il biglietto. Scappo, corro, torno di corsa, la multa non c’è, meno male.
Mentre scrivo questi brevi appunti, ho le tre monetine davanti a me. Disegnano un piccolo triangolo sopra la scrivania. E più le guardo più quello che ho visto mi pare impossibile. Probabilmente quella macchinetta è un modello antiquato. Lo spero. Ma, in ogni caso, perché non prevede la possibilità di mettere un importo qualsiasi come succede in tutte le altre città? Metti cinquanta centesimi, parcheggi mezz’ora, metti 60 centesimi parcheggi 36 minuti... Sembra tutto così semplice... Perché allora è tutto così impossibile? Anche la reazione della gente, come se fosse in preda ad una sorta di profonda rassegnazione. “E’ così, non c’è niente da fare, e non può essere diversamente”.
Sono le 19 e 46, ho appena finito di scrivere. Il XXI secolo è iniziato da 9 anni, quarant’anni fa un uomo è sceso sulla Luna. Nell’angolo in basso a sinistra dello schermo del computer, nella finestrella di Facebook lampeggiano dei numeretti rossi. Sono i messaggi in tempo reale dei miei amici che mi chiamano. Alcuni di loro sono a migliaia di chilometri di distanza.
Fuori, una macchinetta mi ha spiegato che, la prossima volta che voglio usarla, devo avere la buona creanza di procurarmi un ben preciso pugno di centesimi.
Non uno di meno, e neanche uno di più.


 



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