Il pilota e la paura

EMOZIONI E SENSAZIONI DI UOMINI COMUNI CHE VIVONO SEMPRE E COMUNQUE FRA LA VITA E LA FINE (di Stefano Leone)

Una delle domande che viene posta più frequentemente, a chi fa questo mestiere, è: ”Voi piloti non avete paura?” È una domanda che mi ha sempre sorpreso, e alla quale è difficile dare una risposta in poche parole, una risposta che sia pensata e sensata. La tentazione di rispondere “no” è sempre stata grande, tutti tirerebbero un bel sospiro di sollievo e si potrebbe andare avanti, sapendo che nel mondo esistono uomini e donne fuori dal comune, senza macchia e senza paure, che fanno i piloti. Ma i superuomini non esistono – ed è meglio così. Il mio umile parere è che solo gli stolti dicono di non avere mai paura - e mentono nel dirlo. La paura è un insieme di sensazioni, un meccanismo primordiale che il nostro corpo ha sviluppato in millenni di evoluzione per salvarci la vita. Sarebbe un vero spreco non utilizzare un tale strumento. Ma come ogni strumento, può essere utilizzato bene o male: un bisturi, nelle mani esperte di un chirurgo, può salvare una vita; lo stesso bisturi, utilizzato senza le necessarie competenze e conoscenze, può essere letale. Allo stesso modo, la paura ha un effetto fisiologico che può essere utilizzato per rispondere al meglio in situazioni potenzialmente critiche. Il battito cardiaco aumenta, portando più sangue ad affluire nei muscoli, per renderli pronti a reagire; l’adrenalina che viene rilasciata rende “più forti” e meno sensibili a dolori e fatica. La paura è una forma di stress che può essere incanalato e convogliato, nella sua forma di “eustress” - ovvero uno stress positivo che avvicina le performance del pilota al picco massimo raggiungibile. L’importante è non permettere che degeneri in “distress” – il panico, che ci immobilizza e rende incapaci di reagire. Credit Aeronautica Militare. Il modo migliore per imparare a gestire la paura è la preparazione, l’addestramento, lo studio. In fondo, è solo ciò che non conosciamo che ci fa paura; per cui nel caso del volo, “strumentale” o “a vista”, con aeroplano o elicottero, avere una perfetta conoscenza del proprio mezzo e delle procedure è il modo migliore per eliminare una grossa sorgente di possibile paura. L’esperienza è poi l’unico, indispensabile e insostituibile modo per riuscire a risolvere situazioni alle quali non siamo addestrati – perché è impossibile, e non sempre utile, cercare di prevedere tutto. Un pilota, militare o civile, sa bene che il volo è potenzialmente rischioso. La probabilità che qualcosa di grave accada è molto bassa, ma le conseguenze possono essere disastrose. Il lavoro del pilota, e di tutto il team che lavora insieme a un equipaggio, è di minimizzare questo rischio. Lo stesso vale per ogni altro ambiente lavorativo. Se torno indietro nella carriera, al pensiero ad alcuni dei momenti a più alto rischio di questa esperienza, mi rendo conto che la paura è un sentimento forse presente ma che giace silenzioso senza disturbare. Durante il decollo, la mia concentrazione era focalizzata sulle procedure e sugli strumenti; durante l’atterraggio, la mia attenzione era completamente assorbita dal momento vissuto. E in entrambi i casi, tutto era sottolineato dalla fiducia nella scienza degli ingegneri costruttori e nella tecnologia. Loro hanno costruito le macchine che i piloti utilizzano. Poi, la fiducia nelle squadre di uomini e donne che, da lontano, sostengono e supportano, (i controllori del traffico aereo e i tecnici a terra), come un formidabile tetragono. Altre domande dalle risposte complesse sono tutte quelle che riguardano la famiglia. Prima di essere un pilota, si è un figlio, un marito e un padre. Da qualche parte sulla Terra che scorre sotto durante il volo, c’è una madre il cui cuore ha palpitato a ogni decollo, a ogni sortita e a ogni atterraggio; un padre che con stoica forza nasconde nel sorriso la sua preoccupazione; una moglie o una compagna, che ha non ha scelto il mestiere del suo uomo, ma nasconde ogni quotidiana preoccupazione per regalare un volto disteso; poi, i figli che solo da adulti possono comprendere perché il loro papà non torna a casa ogni sera come quello dei loro amici. Il pilota è consapevole di tutto ciò. Ma quando il pensiero va ai piloti, eroi di ogni giorno impiegati in missione nei teatri più pericolosi del mondo, la prospettiva di un pilota di linea o di elicotteri da soccorso, si ridimensiona, e ritorna la coscienza del proprio privilegio. Al confronto del loro sacrificio, ogni sforzo è insignificante, è dovuto. È l’indispensabile omaggio a chi ogni giorno, lontano dalla propria terra e famiglia, compie il proprio dovere, in terre di orrore e altri demoni, senza chiedere nulla in cambio, neanche la riconoscenza del proprio Paese.

(nella foto il pilota Stefano Leone con il comandante delle "Frecce Tricolore")

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