Il commosso incontro a Marcinelle con gli ultimi minatori di Bois du Cazier

La voce gli si secca in gola, a Sergio Aliboni, all’ingresso del cimitero di Marcinelle, quando gli occhi s’inumidiscono. “Ho sentito le vostre voci e mi sono commosso. Io lavoravo alla taglia con gli abruzzesi. Grazie per essere venuti, questa è casa vostra”. Con queste parole, vestito con una tuta consunta da minatore, alla guida d’un picchetto di 12 anziani colleghi minatori, in divisa da lavoro e lanterne, il presidente dell’AMCW – l’associazione dei minatori – ha accolto i delegati delle comunità abruzzesi all’estero e gli altri membri del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM), convenuti a Charleroi per la loro assemblea plenaria, dal 27 al 29 settembre. Un’intera giornata di lavori è programmata il 28 a Marcinelle, all’interno di Bois du Cazier, la miniera maledetta dove alle 8 e 10 dell’8 agosto 1956 scoppiò l’inferno, con l’incendio sviluppato innescato dal cavo elettrico e dall’olio fuoriuscito dal tubo dell’elevatore, tranciati da un carrello. Nella tragedia perirono 262 minatori, 136 italiani, solo 13 i superstiti di quel turno di lavoro. Ora, la delegazione abruzzese è venuto a rendere omaggio alle vittime, ad incontrare i loro compagni di lavoro, a visitare la miniera, riconosciuta Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco.

Marcinelle, la miniera di Bois du Cazier

Al cancello del cimitero i minatori si schierano in due file. Il silenzio è irreale e l’inconsueta giornata di sole non mitiga la plumbea tristezza che morde il cuore. Accendono le loro lanterne e s’incamminano ordinatamente, seguiti dal gruppo degli abruzzesi, verso il sacrario. Davanti al monumento che ricorda le vittime, con i modesti sacelli lapidei disposti a terra intorno alla scultura bronzea, il pianto di molti si scioglie mentre la voce di Sergio Aliboni aleggia nel composto raccoglimento, nel racconto di quel dramma del 1956 nella miniera, con l’intensità e la dignità di chi avverte il dovere morale di conservare la memoria di quanto accadde a Marcinelle per tramandarla alle generazioni che verranno. I consiglieri della Regione Abruzzo Franco Caramanico, Riccardo Chiavaroli, Emilio Nasuti, Antonio Prospero, Berardo Rabbuffo, il vice presidente del CRAM Franco Santellocco e il sindaco di San Salvo Tiziana Magnacca, muovono verso il memoriale, vi depongono un cuscino di fiori, vi sostano  chini per alcuni minuti. Il trombettiere suona il silenzio, mentre i minatori disposti sui due lati del memoriale lasciano spegnere le loro lucerne a petrolio, quelle stesse che recavano nel loro lavoro, scendendo per centinaia di metri nelle nere viscere della miniera a scavare carbone. Quando la tromba squilla la fine del silenzio, man mano i visitatori dall’Abruzzo e dal mondo rendono il loro omaggio alle vittime.

Poi, il mesto corteo lascia il memoriale e guadagna lentamente l’uscita del cimitero. I minatori chiedono da dove provengano questi abruzzesi, si commuovono nell’apprendere che non solo dall’Abruzzo sono venuti, ma da ogni angolo del mondo. Sono tutti d’età avanzata, o tale almeno sembra, gli ultimi reduci di quella disgraziata miniera, vestiti con la loro tuta blu, il foulard rosso al collo, il casco che sembra un elmetto. Parlo con uno di loro, Luigi Andreatta. Partì per Marcinelle nel 1955 da Baselga di Piné, paesino in provincia di Trento, aveva 19 anni. “Mi rimane poco da vivere – mi dice – ho il 100% di silicosi, entro ed esco dall’ospedale, ogni tanto mi lascia respirare, come oggi per essere qui con voi”. Lo abbraccio, stringendolo forte, e per stemperare in apparenza l’emozione che mi assale gli racconto dei mesi che passai a Trento, all’inizio della mia avventura lavorativa, e dell’affinità dei trentini con la gente di montagna d’Abruzzo. Un sorriso accompagna il nostro distacco. I minatori salgono sul nostro autobus, si va alla miniera di Bois du Cazier. E’ lì a duecento metri, ma pesano per chi soffre di silicosi. Noi andiamo a piedi, lungo la strada fiancheggiata da casette di mattoni rossi. A sinistra si staglia al cielo, sopra un enorme trespolo di ferro, la grande ruota che azionava gli ascensori della miniera. Arriviamo, al cancello d’ingresso, lo stesso dove mogli, madri e figli s’aggrapparono quell’8 agosto di 57 anni fa, e per due settimane, sperando che i loro cari riemergessero vivi da quell’inferno intorno al quale si affannarono per giorni e giorni i soccorritori, quasi senza mezzi di soccorso. Quando poterono raggiungere la miniera, a 1035 metri di profondità, il 22 agosto, riportarono alla luce 262 morti.

“Se posso dire una cosa agli italiani – dice Aliboni concludendo il suo racconto di testimone della tragedia – dico loro di non fare agli immigrati quel che fu fatto a noi. Il pane che guadagnavamo aveva sette croste. Sogno di far venire Papa Francesco in questo luogo simbolo dell’emigrazione, egli figlio di un emigrato”. La parola, sempre davanti alla “griglia” d’ingresso, passa a Jean Louis Delaet, direttore del Museo allestito a Bois du Cazier, ora diventato patrimonio di tutta l’umanità. Ci dice d’essere venuto in Abruzzo, nel maggio scorso, a Manoppello, da dove provenivano molte delle vittime. “Nella vostra regione – aggiunge – c’è consapevolezza della tragedia, ma gli altri italiani non sanno più niente, specie i giovani. E abbiamo il dovere di tramandare questa memoria, questa tragedia che cambiò il lavoro e la sicurezza nei cantieri, in Europa. Nel 2016 sarà una ricorrenza importante, il 60° anniversario. Sono venuti qui, di recente, la presidente della Camera Laura Boldrini e poi il presidente del Senato Pietro Grasso. Due personalità eccezionali. Si sono impegnati per questo progetto del Sessantennale”. Levino Di Placido aggiunge: “Speriamo che anche la Regione Abruzzo s’impegni. L’Abruzzo ha avuto 60 vittime. La tragedia cambiò la vita ai nostri emigrati qui in Belgio, e non solo”. Entriamo nella miniera. Il primo luogo di questa via crucis è la stanza del Memorial. Le foto di tutte le vittime, con le loro generalità, pendono dal soffitto, mentre la voce in sottofondo chiama uno alla volta i nomi e la loro provenienza. Mi ricorda, questa atmosfera e questo rito, la visita al memoriale dei bimbi dell’immane Olocausto, allo Yad Vashem di Gerusalemme.

Mi avvicino a leggere i nomi. Mi fermo davanti alle foto di cinque vittime, erano tutti della stessa famiglia, di Manoppello: Iezzi Camillo, Rocco, Donato, Vincenzo, Orlando. Vedo Rita Blasioli, delegata del Brasile nel CRAM, che si asciuga le lacrime. Lei è di Manoppello, da dove provenivano 23 delle vittime abruzzesi, le altre da Lettomanoppello (6), da Farindola (6), da Turrivalignani (9), da Roccascalegna (6), da Castel del Monte (2), e con una vittima, da Alanno, Elice, Rosciano, Casoli, Castevecchio Subequo, Sant’Eusanio del Sangro, Ovindoli e Isola del Gran Sasso. Le altre vittime italiane provenivano dalla Calabria (4), Campania (2), Emilia Romagna (5), Friuli Venezia Giulia (7), Marche (12), Lombardia (3), Molise (7), Puglia (22), Sicilia (5), Toscana (3), Veneto (5) e Trentino (1). Al processo che seguì, l’unico condannato, in appello, fu il direttore dei lavori. Nel locale delle testimonianze sono apposte le targhe commemorative, da tutta Europa. Viene scoperta, con una sobria cerimonia, la targa del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo a ricordo della giornata del 28 settembre 2013, vissuta per intero all’interno della miniera in segno rispettoso ricordo di quella grande tragedia.

I lavori del CRAM, dopo la prima giornata vissuta a Bruxelles, con la visita al Parlamento europeo e con l’inizio dell’assemblea plenaria nella sede della Regione Abruzzo in Avenue Louise 210, riprendono nell’Auditorium della miniera, ricavato nell’ex fabbricato motori dove ora ha sede il Museo. Una giornata di lavori, permeata dalle emozioni della mattinata, nella quale intervengono tutti i componenti del CRAM: consiglieri regionali, delegati provenienti dall’Argentina, Australia, Algeria, Belgio, Brasile, Cile, Uruguay, Paraguay, Venezuela, Canada, Stati Uniti, Lussemburgo, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Sud Africa, Italia (delegato delle associazioni abruzzesi fuori regione) e del rappresentante dell’Osservatorio regionale dell’emigrazione, chi scrive. Ciascuno riferisce sulle attività svolte, sui progetti da realizzare, sul contributo reso alla terra d’origine rappresentandone al meglio il volto all’estero. Ci si attende, dalla Regione, il sostegno necessario per far crescere le potenzialità in essere, finalmente ripristinando stanziamenti in bilancio, ridotti all’insignificanza nei cinque anni del mandato. Ora che i problemi finanziari che hanno assillato la Regione sembrano essere rientrati, si attende una svolta. D’altronde non sarebbe niente d’eccezionale se si pensa a quanto hanno dato e danno le associazioni abruzzesi in termini di promozione dell’Abruzzo nel mondo, procurando migliaia di turisti e visitatori che incrementano l’economia abruzzese.

Castello di Monceau, in Belgio

Di questo aspetto, riguardante il bilancio del settore emigrazione, si parla nella terza giornata di lavori, che si tiene al Castello di Monceau, immerso in un magnifico parco verde. Il CRAM propone un budget di 700 mila euro per poter dar corso alle politiche dell’emigrazione, con forte riverbero positivo sulla regione nella promozione dei prodotti dell’enogastronomia, del patrimonio artistico ed ambientale, nella valorizzazione all’estero delle eccellenze dell’Abruzzo. A questo scopo avranno un forte ruolo i giovani, che l’associazionismo all’estero ha interesse a coinvolgere nelle attività attorno al nucleo di giovani delegati che in questi anni ha prodotto un consistente bagaglio di progetti. L’assemblea plenaria del CRAM decide infine di tenere la riunione del 2014 a Montevideo, in Uruguay, accogliendo l’invito della comunità abruzzese, più volte avanzato negli anni da Mario Lannutti Bonanni, componente del CRAM. Quindi si conclude, accogliendo con un fragoroso applauso la notizia che la città capoluogo d’Abruzzo, L’Aquila, è stata scelta dall’ANA per  l’ Adunata Nazionale Alpini del 2015. Infine,  con una mozione approvata all’unanimità, il Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo esprime la più viva adesione morale delle comunità abruzzesi nei cinque continenti alla Candidatura dell’Aquila a Capitale europea della Cultura 2019, assicurando tutto il sostegno e l’impegno solidale perché la città colpita dal terremoto del 6 aprile 2009, a dieci anni dalla tragedia, possa proporre il suo volto migliore al mondo, raggiungendo l’ambizioso obiettivo d’essere riconosciuta come una capitale della cultura, grazie alla sua storia, al grande patrimonio d’arte, di architetture, di valenze ambientali, di produzioni artistiche e della ricerca scientifica. Il segno della sua rinascita.

Goffredo Palmerini



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