APPUNTI DI VIAGGIO... Ma Come Facevano?

Approfittando delle buone condizioni meteo di questo settembre e della squisita disponibilità di due amici, siamo finalmente riusciti a girare sulle pareti della Prima Spalla del Corno Piccolo al Gran Sasso d’Italia alcune parti essenziali del filmato “Un Giorno Lungo 50 Anni”, il racconto dell’incredibile performance compiuta nel 1962, oltre 50 anni fa quindi, da Luigi Mario e Fernando Di Filippo: due stupende vie di roccia salite per la prima volta (e in una stessa giornata) su roccia stupenda e con difficoltà che all’epoca erano decisamente alte. Provare a ricostruire una vicenda, raccontare una storia di amicizia e di alpinismo e farlo negli stessi luoghi che 50 anni prima hanno visto il loro svolgersi, è qualcosa di certamente impagabile... almeno per il sottoscritto. Se a questo si aggiunge che abbiamo provato a fare la ricostruzione della salita in abiti d’epoca, il fascino non può che aumentare. Siamo saliti per un canale (il Canale di Mezzo) fino in vetta alla Prima Spalla e da qui calandoci di volta in volta con doppie abbiamo ripercorso i tiri dell’itinerario, fermandoci alle soste lungo la via, in modo da ottenere le migliori inquadrature possibili quando la cordata di “controfigure” risaliva il percorso.

Essere appeso a una sosta, con il vuoto sotto i piedi, bloccato da una fettuccia e con cavalletto, reflex digitale, zaino, tutto assicurato per evitare di vedere qualche migliaia di euro sparire nel vuoto, e provare così a comporre inquadrature suggestive equivale per a scrivere cercando le migliori parole, le frasi che più riescono a descrivere una situazione, uno stato d’animo, una vicenda.

A metà dell’itinerario di arrampicata, vicino a me era bloccato in sosta Alvise Mario, il figlio di Luigi e che interpretava il padre in questa ricostruzione. Indosso aveva una cagoule d’epoca, una giacca a vento in cotone, un paio di pantaloni jeans rimboccati sotto il ginocchio (come li portava il padre) e i calzettoni di lana rossi “d’ordinanza”. Per arrivare a quella sosta avevo dovuto traversare su una placca verticale, assicurato da Alvise certo, ma con ai piedi un paio di scarpe d’avvicinamento invece di quelle d’arrampicata e con sulla schiena lo zaino con tutta l’attrezzatura per la ripresa. Dopo essermi assicurato con una longe alla sosta ho cominciato a prepararmi per le riprese. Davanti a me il panorama scendeva ripido verso la Val Maone per risalire poi altrettanto ripidamente verso Pizzo Intermesoli. Il cielo era senza nuvole, ma il sole non era ancora riuscito a scaldare l’aria. Soffiava una leggera brezza. Ho guardato la placca che avevo appena attraversato, poi lo sguardo è salito verso l’alto, verso la vetta della Prima Spalla. Un mare di roccia verticale ci circondava. Una verticalità impressionante. Ho guardato Alvise in viso e gli ho chiesto: “Da quello che ho letto, quando tuo padre e Fernando sono saliti di qui, al massimo hanno piantato un chiodo per assicurarsi... ma come diavolo facevano con gli scarponi rigidi, la corda legata in vita e null’altro, non dico a salire, ma anche solo a pensare di poter fare un itinerario del genere.”

Alvise è un ragazzo gentile, un tipo che quasi non ti aspetteresti di trovare alle prese con pareti, montagne, chiodi, martelli e quant’altro. Mi ha guardato da dietro gli occhiali dalla montatura nera - messi su per somigliare di più a suo padre negli anni ’60 - e mi ha detto: “Con papà quando è capitato di rifare qualche via insieme ne abbiamo parlato. Dice che era un altro mondo allora, un modo differente di fare alpinismo e di salire le montagne.”

Un’altro modo di fare alpinismo... Un’altro modo di salire le montagna... Un altro mondo che non ho conosciuto ma di cui ho nostalgia.

Forse è per questo che voglio provare a raccontarlo.

 

- Alberto Sciamplicotti -
 



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