Sotto il Gran Sasso per capire le stelle

(di Carlo Broggini)   

Quando una grande nube di gas si contrae, viene rilasciata un’enorme quantità di energia gravitazionale che progressivamente scalda la stella che si sta formando. Raggiunta la temperatura centrale di alcuni milioni di gradi, si accende il “fuoco nucleare”, si innescano cioè le reazioni di fusione termonucleare che trasformano idrogeno in elio e liberano energia.
Luna (Laboratory for Underground Nuclear Astrophysics) studia queste reazioni alla stessa energia, alcune decine di keV, alla quale esse avvengono nelle stelle. Si tratta di energie da 100 fino a 1.000 volte più piccole di quelle in genere esplorate nei laboratori di fisica nucleare. Il numero degli eventi di fusione che si hanno nell’apparato sperimentale è così piccolo da rendere impossibile il loro studio in presenza della radiazione dovuta ai raggi cosmici. Per questo nel 1991 un piccolo laboratorio di astrofisica nucleare è stato installato sotto il Gran Sasso. La montagna riduce fortemente la radiazione cosmica e questo ha permesso di condurre esperimenti con un numero di eventi basso, sino a due fusioni al mese.
Gli apparati sperimentali sono relativamente semplici: un acceleratore, in passato da 50 kV e ora da 400 kV, che fornisce fasci di idrogeno o elio con corrente molto elevata (sino a 1 mA), bersagli sia solidi che gassosi sui quali viene condotto il fascio e, infine, rivelatori al silicio, al germanio o a cristalli scintillanti, che identificano il processo di fusione attraverso le particelle prodotte o la radiazione emessa. I rivelatori sono selezionati in base alla loro radioattività intrinseca: questa deve essere minima per consentire di sfruttare sino in fondo la soppressione della radiazione cosmica fornita dal Gran Sasso.

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La sorgente di ioni dell’acceleratore di Luna (qui caricata con idrogeno). Ben visibile è il plasma di protoni ed elettroni che si forma nella regione di forte campo elettromagnetico.

La prima fase di Luna è stata dedicata allo studio delle reazioni fondamentali della catena di fusione protone-protone (p-p) (vd. “Alchimie celesti”) e del ciclo di reazioni nota come “cno” (carbonio, azoto, ossigeno). Attraverso questi processi, in particolare la catena p-p, nella zona centrale del Sole ogni secondo si trasformano circa 600 milioni di tonnellate di idrogeno in elio. Durante la trasformazione si generano neutrini che, dopo poco più di 8 minuti, raggiungono la Terra con un flusso di circa 60 miliardi per cm2 al secondo.
Il confronto tra i risultati degli esperimenti che rivelano questi neutrini, iniziati alla fine degli anni sessanta, e le previsioni del modello solare hanno permesso di comprendere le proprietà del neutrino e di verificare in maniera sempre più profonda il modello di funzionamento del Sole. Ingrediente fondamentale del modello sono le probabilità dei processi di fusione studiati da Luna o, in termine tecnico, la loro sezione d’urto. I risultati hanno permesso di calcolare in modo sempre più preciso il flusso di neutrini. Dopo decenni di esperimenti raffinatissimi e di perfezionamento del modello solare, si possono ormai usare i neutrini per “vedere” il centro del Sole e misurarne i parametri fondamentali come temperatura e composizione.
I risultati di Luna sono naturalmente applicabili anche a stelle diverse dal Sole. In particolare, essi hanno mostrato come l’età delle più antiche strutture galattiche, gli ammassi globulari, debba essere aumentata di circa 1 miliardo di anni, portando così a 14 miliardi di anni la stima dell’età dell’Universo.
Terminata la fase essenzialmente “solare”, l’attività di Luna è ora dedicata ai processi di combustione dell’idrogeno nei cicli che si innescano a temperature maggiori di quella del Sole: Ne-Na (neon-sodio) e Mg-Al (magnesio-alluminio). Si tratta di processi relativamente poco importanti per la produzione di energia, ma essenziali per comprendere la ragione profonda delle abbondanze dei vari elementi che, “cucinati” all’interno delle stelle, popolano l’Universo.

 



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