I fiori del Gran Sasso scoperta una pianta mai osservata in natura

Ha le foglie verdi allungate e i fiori di un viola intenso. E pur essendo una leguminacea, più precisamente un pisello, non si mangia. L’hanno battezzata Lathyrus Apenninus, ed è una specie di pianta mai osservata prima in natura e scoperta dal Centro ricerche Floristiche dell’Appennino nel Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga.
 «Questa specie» spiega Fabio Conti, responsabile del Centro, «era sempre stata confusa con un’altra presente ad esempio in Umbria e che si pensava ci fosse anche in Abruzzo. In realtà studiandola e confrontando i campioni abbiamo capito che è nuova. Così l’abbiamo battezzata Lathyrus Apenninus, un nome che verrà ufficializzato tra poco, quando la notizia della sua scoperta verrà pubblicata su Plant Biosystems, la rivista della Società Botanica Italiana».
 A confermare la ricchezza della flora del Parco c’è anche un’altra scoperta effettuata dai ricercatori del Centro, che hanno trovato un fiore mai osservato prima in Abruzzo. «E’ un particolare tipo di Delphinium» spiega Conti «dietro cui c’è un piccolo giallo. Un botanico vissuto nell’800 che si chiama Tenore aveva individuato nella zona del Parco un altro tipo di Delphinium che però non è mai più stato visto. Secondo noi in realtà il fiore segnalato da Tenore è proprio quello che abbiamo trovato, ma per averne la certezza bisognerà aspettare di fare il confronto con il campione di questo fiore che sta nell’erbario di Tenore, conservato a Napoli».
 Anche la fauna del Parco, poi, sembra essere in buona salute. Secondo i risultati del monitoraggio annuale, infatti, nell’area protetta del Gran Sasso e dei monti della Laga ci sono 400 camosci. Nei trentuno sentieri in quota sul Gran Sasso gli uomini del servizio scientifico dell’Ente e della Forestale hanno avvistato dodici branchi, alcuni dei quali sono composti di oltre trenta esemplari, e censito 80 piccoli.
 I branchi più numerosi sono stati avvistati sulla dorsale dei monti Brancastello e Camicia e sulle pareti che fiancheggiano la Val Maone.
 «La presenza dei camosci e la scoperta della nuova pianta» dice Augusto De Sanctis, coordinatore delle oasi Wwf per l’Abruzzo «sono un buon segno e dimostrano che la biodiversità nel Parco c’è e facendo attività scientifiche valide e di gestione attiva della natura si possono ottenere risultati di conservazione reale. Ma ci vuole appunto impegno. I camosci, ad esempio, nel Parco del Gran Sasso non c’erano più: all’inizio degli anni’90 quando si è costituito l’Ente sono stati reintrodotti e adesso si vedono i risultati. Queste bellezze e la loro unicità vanno poi anche trasmesse, per esempio attraverso i centri di educazione ambientale come quello che il WWf ha a Cortino, nel Teramano. Una struttura che conta centinaia di presenze e che ha anche un’importanza per l’economia del territorio».



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