Festa di S. Antonio Abate

 In occasione della festa di S. Antonio Abate, Astorre Bellisario ci ha inviato alcune informazioni sulle tradizioni locali: 
 


Tradizioni e festeggiamenti per Sant’Antonio Abate (17 gennaio). Il santo è venerato soprattutto come protettore degli animali, perciò la sua immagine, riprodotta in stampe popolari, si trova in tutte le stalle, e il fulcro della sua festa è costituito dalla benedizione degli animali domestici, tipica cerimonia ben conservata fino ad oggi in tutta l'Italia, soprattutto in zone rurali.
Gli animali domestici e anche scimmie e pappagalli, vengono portati in chiesa per farli benedire dal sacerdote. Fino al 1870, a Roma, la benedizione si teneva davanti alla chiesa di S. Antonio all'Esquilino, mentre oggi si svolge davanti a quella di S. Eusebio; vi sfilano pariglie a un solo cocchio e i cavalli dei palazzi apostolici addobbati a festa.

 In Abruzzo: quando la statua di Sant’Antonio Abate appare sulla porta della chiesa e si agita il suo bastone per far tintinnare il campanello, oppure dopo l'aspersione con l'acqua santa, ha inizio una tipica cavalcata. Il sacerdote che presenzia la processione riceve un'elemosina e poi distribuisce i « pani di S. Antonio, ritenuti, popolarmente, miracolosi per la guarigione degli animali.
Sant’Antonio Abate è diventato molto famigliare alle classi più umili, tanto che la sua immagine si trova in tutte le stalle dei contadini; questo indice di popolarità è dovuto, in realtà, ad un errore dell’interpretazione iconografica, riconducibile al fatto che la fantasia popolare ha la tendenza a materializzare i simboli: nel primo periodo, infatti, Sant’Antonio veniva rappresentato in lotta con i diavoli, rappresentati in varie forme di bestie, o simboleggiati dal maiale.
Nel medioevo, le comunità allevavano a spese di tutti un porcellino, che poi veniva ucciso l’anno seguente, in occasione della festa del Santo, devolvendo tutto il ricavato ad opere di bene.
Questa tradizione è ancora viva in alcuni paesi dell’Abruzzo e della Lucania.
Un altro elemento tradizionale connesso a Sant’Antonio Abate, riconosciuto come colui che vinse i diavoli e le fiamme dell’inferno, è quello dei “fuochi di S. Antonio”: enormi cataste di legna, dette in Abruzzo “focaracci” e “focaroni”, accese sui piazzali delle chiese, o sulle aie. al posto della legna vengono usati fasci di canne dette “farchie”.
Ciascuno, poi, ne riporta a casa qualche tizzone spento, a difesa dai fulmini.
Sempre nella regione dell’Abruzzo, gruppi di giovani mascherati girano di casa in casa a “cantare S. Antonio”: uno impersona il Santo Eremita; spesso c'è anche una turba di diavoli, la ragazza tentatrice e l'angelo che porta conforto.

FESTA S.ANTONIO ABATE A SCONTRONE (AQ)
E' tradizione festeggiare il Santo con la celebrazione in mattinata della santa messa. Nel pomeriggio si procede all'accensione dei fuochi e alla benedizione degli animali. La serata prosegue con l'apertura di stand gastronomici con offerta di dolci locali.
Info:
Tel. 0864 87149 - fax: 0864 870012

Lu Sant'Andonie (Sant'Antonio)
Atri (Te),16 e 17 gennaio
Una antica festa circondata da molte leggende, quella di Sant'Antonio Abate che si svolge ad Atri nei giorni 16 e 17 gennaio. Come in altri piccoli centri abruzzesi la sera del 16 gruppi di giovani girano per le case e le masserie di campagna cantando
"Lu Sand'Andùne", un canto recitato, una rappresentazione in cui compare il diavolo, nell'intento vano di tentare il Santo.
Sant'Antonio Abate è il protettore del fuoco e degli animali, è l'eremita egiziano che visse dapprima in una plaga deserta della Tebaide in Egitto e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni e morì ultracentenario nel 356.
Per la cultura contadina la sua festa apre il ciclo dell'anno ed è ancora un giorno fondamentale del calendario, che indica oltre ai giorni dell'anno anche le opere da compiere e i lavori da eseguire nelle campagne.
Nelle stalle dei contadini non manca mai un'immagine del Santo. Nei giorni che precedono la festa il parroco procede alla benedizione degli animali e delle stalle.
Dopo la rappresentazione si è soliti mangiare salsicce, salsicciotti, formaggio, prosciutto e bere del buon vino.

Festa di Sant'Antonio Abate a Giulianova
Associazione Culturale "Gruppo Corale G. Braga"[email protected]
Tradizioni Folklore
 Tradizionale manifestazione giuliese: questua itinerante del Sant'Antonio Abate
Nei giorni che vanno dal 4 al 16 gennaio 2009, un gruppo di coristi e simpatizzanti andrà in giro cantando e suonando i ritornelli legati alla tradizionale questua itinerante del Sant’Antonio Abate.
Quindi, se sentirete rumori strani fuori casa non  dovete spaventarvi subito, perché probabilmente saranno loro, ma non aprite fino a quando un loro rappresentante non si sia presentato con relativo documento di riconoscimento.
Le bevande e gli alimenti raccolti durante la questua saranno consumati in Piazza della Misericordia sabato 17 gennaio dalle ore 19.30 in poi.
La partecipazione alla festa finale è gratuita
Chi vuole può portarsi piatto e bicchiere.


Feste, Santi e Tradizioni: il culto di Sant'Antonio Abate in Abruzzo
 
Il culto di Sant'Antonio Abate è ancora molto radicato in Abruzzo ed è particolarmente diffuso nelle zone rurali e nei borghi di montagna.
Sant'Antonio Abate ha rappresentato una delle figure principali della religiosità popolare.
Venerato come protettore degli animali ( la sua immagine si trovava un tempo in tutte le stalle dei contadini), viene invocato per la salute del bestiame domestico e del corpo, specialmente contro il «fuoco di Sant'Antonio».
Per la cultura contadina la sua festa (il 17 gennaio) apre il ciclo dell'anno ed è ancora un giorno fondamentale del calendario, che indica oltre ai giorni dell'anno anche le opere da compiere e i lavori da eseguire nelle campagne.
Lo spirito di questa antica festa, che si ricollega alle altre feste abruzzesi di fuochi invernali, prima o dopo il solstizio d'inverno, ancora vive.
Gli anni che passano e la modernità che lotta con le tradizioni.
Ma il giorno del Santo continua ad esser un "giorno di fuochi", e la memoria che vince l'oblio torna a raccontare ai più piccoli e a ricordare ai più anziani, usi e costumi delle comunità di un tempo, perché non se ne smarrisca definitivamente il significato e la bellezza.
Tanti piccoli centri si animano già prima e la gente dei luoghi prepara mucchi di legna o colonne di canne che, una volta accese, rischiareranno scorci e piazze, daranno luce a facciate di palazzi e chiese nei tanti borghi abruzzesi: i "fuochi di Sant'Antonio". Un elemento tradizionale e fondamentale della festa del Santo, riconosciuto come colui che vinse i diavoli e le fiamme dell'inferno. Enormi cataste di legna, dette in Abruzzo "focaracci" e "focaroni".
Lo spirito di questa antica festa contadina resiste in Abruzzo, e in alcuni centri riveste particolare importanza:
-Atessa (CH)                   
-San Vito Chietino (CH)
-Villa Santa Maria (CH)
-Gessopalena (CH)
-Ortona (CH)            
-Pescara
-Loreto Aprutino (PE)
-San Valentino in Abruzzo Citeriore (PE)
-Scanno (AQ)
-Pescocostanzo (AQ)
-Ateleta (AQ)
-Alfedena (AQ)
-Opi (AQ)
-Barrea(AQ)
-Ofena (AQ)
-Ortona dei Marsi (AQ)
-Ovindoli (AQ)
-Pizzoli (AQ)
-San Benedetto dei Marsi (AQ)
-Secinaro (AQ)
-Villavallelonga (AQ)
-Bagno (L'Aquila)
-Castel Vecchio Subequo (AQ)

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Antonio eremita egiziano, nato a Coma intorno al 251, conosciuto anche come Sant'Antonio il Grande, sant'Antonio d'Egitto, ma anche sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del Deserto, sant'Antonio l'Anacoreta, visse dapprima in una plaga deserta della Tebaide in Egitto e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni. Morì ultracentenario nel 356.
Fu il santo delle tentazioni: il diavolo gli apparve in tutte le sembianze, angeliche, umane e bestiali. Nell'iconografia è raffigurato infatti circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore, ma compare anche con il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau' ultima lettera dell'alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.

Le feste religiose che celebrano il Santo sono legate a fatti riportati da antiche leggende medioevali, in particolare quelle del “fuoco sacro” e del “maialino”. Secondo la prima il Santo, considerato guaritore dell'herpes zoster, chiamato anche “fuoco di Sant'Antonio”, vittorioso sulle fiamme dell'inferno, viene ricordato in alcuni paesi del teramano (Tossicia, Arsita, Bisenti, e Cermignano)bruciando cataste di legna sul sagrato delle chiese. Sul maialino esistono 2 leggende, una secondo cui il Santo lotta con il demonio che, sconfitto, viene trasformato in un maialino, l'altra riguarda la guarigione attuata dal Santo su di un maialino che poi lo seguirà ovunque, quest'ultima leggenda fa si che Sant'Antonio sia considerato il protettore degli animali e la sua immagine si trovi spesso nelle stalle.
A Cermignano, antico borgo medioevale nella valle del Fino, la festa di Sant'Antonio è celebrata con la sagra dei “canti di questua”, che rappresentano le lotte tra il Santo e il demonio. In questa occasione si beve il vino Montonico, tipico della zona, si mangiano salsicce arrostite e gli uccelletti di Sant'Antonio, dolci tipici da inzuppare nel vino caldo.





Sant'Antonio Abate
Villa Santa Maria
16 gennaio, 2010 - Festa
Il 16 gennaio di ogni anno gli abitanti di Villa S. Maria si preparano per festeggiare 'lo
 
beatissimo egregio missere li barone Sancto Antonio', come viene appellato l'anacoreta egiziano in un documento dell'antica poesia  volgare abruzzese. Nel piazzale antistante la piccola chiesa di S. Antonio, ubicata all'ingresso del paese, vengono  allestiti un palco per la celebrazione della santa Messa  e una grande  pira di legna, a forma di cono rovesciato, con lo stendardo  rosso del demonio che troneggia sulla sommità, mentre alcuni rappresentanti del comitato si dedicano alla preparazione di cibi tradizionali: pasta e fagioli con la ventresca di maiale, panini con salsicce, crispelle e  vino.
Al calar della sera, il luogo comincia ad animarsi e trasformarsi. L'accensione delle fiaccole sul piccolo ponte che sovrasta il languido scorrere del fiume Sangro e il tenue  chiarore dei lampioni accentuano l'atmosfera suggestiva già insita nel contesto ambientale con gli speroni di roccia che  incombono sull'abitato e  che al riverbero delle luci assumono colorazioni mutevoli. Col trascorrere delle ore una piccola folla si raduna in attesa intorno al  falò, dopo l'immancabile  visita alla chiesa e il  saluto a Sant'Antonio. Alcune  donne, aiutate dalle suore del conventino di San Francesco Caracciolo, curano gli ultimi ritocchi e infine il parroco dà  inizio alla messa e subito dopo alla benedizione  del fuoco.
Sono gli uomini del comitato a seguire la delicata operazione dell'accensione,  effettuata  a più riprese e su più fronti. Ciò consente di seguire meglio l'andamento delle fiamme che quando vengono colpite da folate di vento si agitano in ogni direzione. La sicurezza delle case circostanti viene garantita dalla protezione di fogli di amianto e altri materiali opportunamente predisposti. Nonostante il fumo e il calore gli intervenuti rimangono  vicinissimi al fuoco.
Mentre alcuni rappresentanti del  comitato  si affrettano a vendere gli ultimi biglietti della lotteria, il profumo delle salsicce invita i convenuti all'acquisto delle varie pietanze e del vino. Il fumo invade presto la piazzetta e le scintille volano ovunque tra il divertimento dei bambini che dapprima corrono a sfidarle e poi fuggono gridando e ridendo. Anche gli adulti indietreggiano e avanzano secondo il movimento delle vampate. Un gruppo di giovani in costume si posiziona davanti al falò e dà vita alla rappresentazione de 'Lu Sant'Andonie', una sequenza di  gesti e di voci ben nota  ma rivissuta con lo stupore della prima volta e tanto divertimento. Musiche e balli  completano la serata.
S. Antonio Abate, santo predicatore serio e austero, resta per il popolo il santo del sorriso, dello scherzo e della convivialità e nella rinnovata lotta contro il demonio torna a risvegliare il desiderio insito nel cuore di ogni uomo di  vittoria  sul male.
Testimonianze orali
Secondo le testimonianze ascoltate,  nel passato  tutto il paese si mobilitava per la raccolta della legna e ogni contrada preparava il suo falò in una vera e propria gara a chi poteva farlo più grande. Ogni anno si allevava un maialino che veniva portato di casa in casa e consumato insieme il giorno della festa, i cibi si preparavano all'interno delle case senza condivisione collettiva, introdotta da circa 10-12 anni, e un gruppo spontaneo di giovani rappresentava 'Lu Sant'Andonie' presso ogni famiglia, ricevendo in dono cibi, dolci  e vino.
Prima si faceva tutto a casa, si andava cantando e ogni casa dava qualcosa: salsicce, noci, fichi secchi. Più di dieci anni fa alcuni giovani si sono riuniti e hanno organizzato così, visto che riusciva bene, la tradizione è continuata. Prima ogni quartiere faceva il suo fuoco e si stava in competizione" (Nicola D'Alonzo,  anni 70) .
Mia nonna,  che ha 93 anni, raccontava che un maialino si portava di casa in casa e poi si uccideva a Sant' Antonio. Ogni contrada preparava il suo falò e facevano a chi poteva farlo più grande (Una signora  del comitato).
Questa usanza c'è sempre stata. Quando ero piccolo noi ragazzi andavamo con la carriola a chiedere un pezzetto di legna, una sedia, un portone, qualsiasi cosa buona per bruciare. Ognuno portava il suo contributo di legna. Si formavano dei gruppi per rappresentare S. Antonio. Prima ogni quartiere faceva la sua usanza. Così lo facciamo minimo da 12 anni (Daniele Di Paola, anni 38).
Ingredienti delle crispelle: farina, patate, un po' di zucchero, uva passa e cannella. L'impasto viene lavorato con forza e lungamente fino a renderlo della morbidezza giusta, poi si formano le crispelle che vengono fritte (Nicola D'Alonzo).
Intervista con il prof. Candido Calabrese, a proposito della rappresentazione del Sant'Antonio e del maiale (2008):
La rappresentazione del "Sant'Antonio" di Villa S. Maria purtroppo è una rappresentazione tramandata in lingua italiana "Buona sera buona gente, vi saluto allegramente...", cioè si parla in italiano. Io ho cercato di fare una specie di coinè, un po' presuntuosamente, cioè di prendere dei canti che vengono da tutto l'Abruzzo, avvantaggiato dai ragazzi di varia provenienza, che mi hanno portato i canti di Tollo, di Torrevecchia Teatina, del teramano, dove c'è una tradizione bellissima che noi abbiamo cercato di rifare...poi di prendere dagli anziani: "Tutte le pele che tié a la vigne lu diavele ze le pi piije, tutte le chiuove che ti' a la porte lu diavele ze le porte. E rindricce e rindricce damme na chiega de salgicce " oppure  "e se ti' na fija femmene, Di' te le pozza guvernà e se ti' nu fije mascule cavaliere le pozza fà", questi li ho presi da una signora di 85 anni, dieci anni fa, quindi c'era questa tradizione. Chi è venuto dopo ha tentato di italianizzare il tutto.
Noi abbiamo cercato di ridare vita a questa tradizione. Nell'Ottantatré abbiamo organizzato un festival coinvolgendo tutte le scuole, ho delle foto in cui ci sono bambini e bambine, dalla scuola materna alle scuole superiori. Quell'anno ci furono addirittura una ventina di gruppi che recitavano in maniera soggettiva questa rappresentazione, anche se il canovaccio è sempre lo stesso. Il mio interesse va oltre perché da dieci anni insegno all'Istituto Alberghiero e quindi c'è questa ricerca sulla cultura della tavola e uno degli aspetti fondamentali della tavola abruzzese è il maiale, con le sue peculiarità, i suoi riti, i suoi piatti che ormai scompaiono: il sanguinaccio, per dirne uno per tutti,  era di  decine di tipi, col miele, con le noci, col mosto cotto, ormai, purtroppo e naturalmente, queste cose scompaiono. Noi abbiamo cercato, dal 1980, di far rivedere dagli chef di Villa S. Maria alcune ricette, rendendole più digeribili.  Noi non dobbiamo parlare di archeologia, noi dobbiamo parlare di attualizzare una cultura secondo le nuove metodologie agroalimentari, rispettando la tradizione...Un elemento della tradizione deve essere proprio l'allevamento autoctono, cioè ridare vita ai nostri famosi 'neri', i discendenti del cinghiale, non per caso il simbolo della provincia di Chieti è il cinghiale...Mentre in altre regioni, per esempio la Toscana, abbiamo la 'cinta senese', che è una qualità di maiale che ha una cinta intorno al collo, con cui fanno dei salumi eccellenti. Noi dovremmo ritornare a questo allevamento brado o semibrado per poter riproporre la genuinità del nostro prodotto.



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