L'Aquila, così il cantiere più grande d'Europa ha partorito una città fantasma

L'Aquila città morta, ore 14.30, piazza del Duomo. Tutto è ancora "chiuso per terremoto", cinque anni dopo. Tutto è macerie, case e governo, non c'è ricostruzione e non c'è più un sindaco, tutto è privo di vita, abbandonato. In una casa al piano terra di piazzetta San Flaviano sono ancora stesi i panni lasciati ad asciugare la notte del 6 aprile del 2009. Si sono messi in salvo solo i ladri nell'Abruzzo seviziato dopo la tragedia. Qui, nell'era berlusconiana, sono riusciti a rubare più di quanto abbiano fatto gli sciacalli in Irpinia o nel Belice.
L'Aquila città morta, ore 14,30, piazza del Duomo. Il direttore della Confcommercio Celso Cioni è appena uscito dal cesso della filiale di Bankitalia dove due ore prima si era barricato con una tanica di benzina, parla con il prefetto dopo aver minacciato di darsi fuoco, racconta che è disperato come tutti i suoi concittadini, le banche che non concedono crediti, i negozianti che sono soffocati dai debiti, l'Aquila stremata e ancora militarizzata. Il suo grido di dolore: "L'Aquila che non c'è più"

L'Aquila città morta, piazza del Duomo. Erano 900 le botteghe prima del terremoto, ne sono rimaste 29. Una che vende formaggi, un'ottica e una gioielleria che dividono lo stesso locale, una di articoli da regalo e venticinque bar. Meno del 3 per cento dei negozi di cinque anni fa.

Corso Federico II, Oscar Carli Sport è chiuso, Ariston pub chiuso, Casa della Calza chiusa. Via Umberto I, pizzeria Perla nera chiusa, gioielleria Ciocca chiusa, lavanderia chiusa, sartoria chiusa, profumeria chiusa. Il palazzo comunale è ancora diroccato, il rettorato è in frantumi, la chiesa dei gesuiti sventrata. Via Paganica è un vicolo deserto, come via Navelli e via Cavour. Eccola la città ricostruita con la propaganda, il suo centro storico è polvere.

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