L’ultimo ciabattino (di Stefano Leone)

Per tutti è Peppino il calzolaio. Lui è Giuseppe Cecere, classe 1934. E’ nella sua bottega da quando, all’età di 10 anni, suo padre lo portò con se per insegnargli il mestiere. Da allora non ha più abbandonato l’arte della manualità, prerogativa della preziosissima “impresa di famiglia”. Un mestiere che consiste nel riparare scarpe, borse, cinture. Insomma tutto ciò che, consumisti e globalizzatori butterebbero via, lui riesce a far tornare a nuova vita. Peppino è un artista. Come tutti gli artisti è un po’ nostalgico, un po’ malinconico. Entri nella sua bottega ed è come entrare in un mondo di un’altra vita. Lui è discreto e riservato. Gentile e cortese con le donne, (si alza in piedi per salutarle), come solo un uomo d’altri tempi sa essere. Cordiale, con fierezza autenticamente cristallina con gli uomini, (li saluta guardandoli dritto negli occhi). Il nuovo anno, da non molto cominciato, vedrà Peppino tagliare il traguardo degli 80 anni. E’ esemplare la compostezza e la semplicissima eleganza comportamentale, seduto sulla sua sedia di lavoro. Gli fa compagnia la musica e le parole di una vecchia radio funzionante come un gioiello. Lui, coppola, cravatta e camicia. Accessorio, anch’esso ben indossato, un buon pullover di lana. Tutto protetto da un grembiulone bianco. Gli oggetti in cuoio e non solo, di donne e uomini, nelle sue mani, tornano da vetrina come per incanto. E, osservarlo mentre lavora, è un po’ come assistere ad un pianista che, improvvisamente si siede al piano e incanta con note e melodie. Mani ferme, occhi piccoli ma vivissimi. Niente occhiali. Stoffa di uomini di un’altra vita. Fuori il mondo corre, si affanna e si autodistrugge, dentro la sua bottega Peppino detiene, con orgoglio e compostezza, il papiro della vita vera. Come dire, sta a tutti noi, creduloni di modernità ed efficienza, non lasciare che queste cose vengano a mancarci.

 



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