L'Aquila, per tornare a volare serve una visione

Il centro storico dell’Aquila è stato definito «nel suo insieme un’opera d’arte». Quindi, la sua ricostruzione merita la diligenza con la quale vengono restaurate le opere d’arte. Per questo motivo, tale impresa è da, da mesi, uno degli argomenti all’attenzione del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici. L’operazione comporta non soltanto aspetti tecnici e artistici, ma evoca anche la necessità di fare in modo che esso diventi di nuovo il cuore di una città viva, non un museo accanto a cento nuovi villaggi che – mutuando l’efficace definizione di Moravia a proposito di Los Angeles – tentano di diventare una città. Il problema è concreto e immediato. Già nell’ottobre 2004, a un congresso scientifico al Politecnico di Torino, l’Audis (che è un’associazione di studiosi della riconversione di aree dismesse) ha lanciato un allarme sul progressivo esodo della popolazione dai centri storici di molti Paesi europei verso nuove periferie attrezzate con grandi supermercati, cinema multiplex e simili.

Da decenni, un grido di dolore analogo viene ripetuto dall’Icromm (piccola ma importante agenzia dell’Unesco, con sede a Roma, il cui scopo principale è il restauro dei centri storici). Non mancano esempi: da quelli di Beaune in Francia – dove pure esiste uno dei monumenti più visitati del Paese, ma il cui centro storico da anima dell’economia e della cultura della Borgogna è diventato una trappola per turisti – a quello di Varsavia, ricostruito (dopo che Hitler ne fece fare "terra bruciata") in base alle tele del Canaletto, ma diventato una scenografia da palcoscenico o da studio cinematografico. Per fare in modo che il centro storico dell’Aquila abbia un’anima non basta una ricostruzione ad opera d’arte, effettuata con la cura e l’amore che si ha proprio nei restauri delle opere d’arte. Occorre un disegno alto che gli dia una missione forte e non si basi sulla premessa – probabilmente illusoria – che, una volta completato il restauro, la popolazione rientri in abitazioni lasciate anni prima e riprenda attività economiche trasferitesi altrove.

L’Aquila è stata per secoli la capitale settentrionale dei vari regni che si sono succeduti nel Sud dell’Italia. Ultimo, in ordine di tempo, quello delle Due Sicilie. In quanto capitale settentrionale di regni rivolti verso il Mediterraneo, si è sempre caratterizzata come centro culturale , tecnologico ed economico non solamente amministrativo. La vita economica derivava, in grande misura, da quella culturale e tecnologica. La città può ipotizzare il proprio futuro riconquistando una centralità culturale e tecnologica e utilizzando come base l’università e il vicino Laboratorio del Gran Sasso. L’Aquila può insomma darsi come missione quella di diventare la «Cambridge dell’Italia centrale». Una missione che oggi può apparire più visionaria che realistica. Senza una visione, però, non si può dare un’anima neanche al centro storico più pregiato. Ciò comporta la necessità, sin da ora, di voltare drasticamente le spalle a prassi discutibili. In primo luogo, non si può creare un’università d’eccellenza (con centri di ricerca adeguati) se i docenti, anche quelli nati e cresciuti a L’Aquila, sono pendolari, vi pernottano per il tempo strettamente indispensabile, corrono tra una lezione e l’altra e vivono di fatto a Roma (dove ci sono maggiori opportunità per incarichi extra-accademici). In secondo luogo, è necessario un forte impegno scientifico e didattico al fine di acquisire quell’autorevolezza essenziale per avere un ruolo centrale in una rete culturale internazionale.



Condividi

    



Commenta L'Articolo