Ex Otefal, nuove ombre sul futuro di 180 lavoratori

Nubi sul futuro dei 180 lavoratori dell’ex Otefal, che solo un anno fa sono stati ricollocati dai siriani della Madar. Era gennaio del 2013 quando è stata riavviata la linea di verniciatura dell’alluminio e 120 dipendenti sono rientrati in fabbrica, con altri 60 in cassa integrazione a rotazione. Dopo 12 mesi, le notizie si accavallano: troppe spese per l’affitto dello stabilimento di Bazzano, poche commesse, l’asta per la vendita del sito che ritarda. Gli stipendi vengono pagati a rate, parte la richiesta per la cassa integrazione straordinaria, si contano 47 esuberi. E ieri mattina una convocazione d’urgenza, per personale e sindacati, da parte dei vertici aziendali. La situazione sta precipitando, la Madar annuncia di essere in cerca di un partner o di un eventuale acquirente: l’asta, indetta dal curatore fallimentare Omero Martella, dovrebbe svolgersi il 27 febbraio. Ma i lavoratori escono dall’incontro con un peso enorme sulle spalle: «Ormai i nostri dubbi», dicono alcuni operai, «stanno diventando certezze: i siriani vogliono andare via. Dopo soli 12 mesi, ci ritroviamo alle prese con un futuro nero. L’azienda non riesce più a sostenere le spese per l’affitto dello stabilimento, parla di ritardi per la vendita all’asta dell’immobile. Ci sono evidenti problemi di liquidità: ancora non viene erogata la terza rata dello stipendio di dicembre e non si sa quando sarà pagata la mensilità di gennaio. Mancano le commesse, è stata già richiesta l’attivazione della cassa integrazione straordinaria fino a giugno. Ma non possiamo stare a guardare, siamo appesi all’arrivo di un nuovo acquirente, che magari ricollocherà solo parte del personale. A questo punto», sottolineano i lavoratori, «lanciamo un appello alle istituzioni: il nostro territorio, dove la disoccupazione è dilagante, non può perdere altri posti di lavoro. Occorre intervenire subito, capire se ci sono margini per salvare lo stabilimento di Bazzano». L’odissea dei dipendenti dell’ex Otefal, che allora contava 230 unità ed era di proprietà della famiglia bergamasca Pozzoli, è iniziata nel 2008, dopo un investimento sbagliato in Sardegna, il crollo del prezzo delle materie prime, la stretta creditizia e infine il terremoto del 2009. Scatta la mobilitazione, sostenuta anche dalle amministrazioni locali. A luglio del 2010 il tribunale approva il ricorso al concordato preventivo e si fa una gara per l’affitto di un ramo d’azienda, vinta dalla Madar: i siriani, a causa del conflitto bellico che sta dilaniando il loro Paese, decidono di investire in Italia e puntano sulla fabbrica aquilana, che opera in un settore parallelo. Le procedure per la riattivazione del sito e il riassorbimento del personale non sono facili. Ma alla fine, dopo un anno mezzo di concordato preventivo e sei mesi di chiusura totale, si firma l’accordo per l’ingresso dei siriani e all’inizio del 2013 la fabbrica riapre i battenti. La Madar sembrava intenzionata all’acquisto definitivo dell’immobile e vedeva in prospettiva una produzione di 24mila tonnellate di alluminio all’anno. La storia è andata poi diversamente.

 



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