"Assergi e S. Franco", la Chiesa e l’Arte

La data dell’edificazione (o riedificazione?) del tempio di S. Maria Assunta in Assergi ad opera di Berardo, vescovo di Forcona, è riportata in una piccola pergamena, scritta in latino, rinvenuta insieme con reliquie di Santi in una scatolina di legno rotonda con piede, in data incerta, nella demolizione dell’altare di S. Egidio, già eretto nella recuperata cappella adiacente all’altare lapideo di S. Franco. Ma non poteva essere quella la collocazione originaria, essendo l’altare di S. Egidio molto posteriore. Secondo Eva Tea (1886 – 1971), docente e storica dell' Arte , accanto alle chiese basilicali comparve nel secolo XII un nuovo tipo di pianta, quella rettangolare o quadrata senza abside o con semplice piccola nicchia, come a Santa Maria Assunta di Assergi. La chiesa del 1150 non aveva, però, le forme e le dimensioni di quella attuale. Era ad una sola navata, come scriveva il De Dominicis: << Della prima costruzione ad una navata resta soltanto la cripta, recuperata intatta nel suo impianto strutturale di origine attraverso i recenti lavori di liberazione, che, per altro, hanno portato un contributo decisivo alla chiarificazione delle varie vicende di tutto il complesso monumentale, permettendone la ricostruzione, per ora ideale, nelle sue varie fasi >>. Rimosso l’intonaco dai muri della cripta, sono state scoperte - nella parete di sinistra - due finestrine cieche che gettano, però, sprazzi di luce sulla storia dell’architettura del sacro edificio. Esse, che una volta dovevano essere aperte sulla campagna, forse sull’orto dei monaci, mentre oggi danno su due tombe della chiesa superiore, manifestano e confermano ciò che già si poteva arguire dalla presenza di una spigolo di pietra sommerso nella muratura di espansione della larga facciata absidale: cioè che la primitiva chiesa fu appunto a una sola navata. La cripta ne occupa esattamente la metà. La cripta. Questa sorse, con ogni probabilità, anteriormente al 1150, sul posto di una precedente chiesetta monastica ed ebbe (o conservò) il nome di “S. Maria in Sìlice”, derivante dalla natura rocciosa del suolo. Infatti, le cinque colonnine dell’altare, riscoperte il 16 dicembre 1965, poggiano sulla viva pietra, anzi, una di esse affonda in un leggero incavo appositamente praticato. Le sottili colonnine hanno un foro alla sommità, contenente, all’atto del ritrovamento, piccole tracce quasi certamente di ossa polverizzate: mentre l’Arcivescovo Carrano decretava di porre la pietra sacra “nell’altare della cripta per potervi celebrare la messa”. Evidentemente ignorava la presenza delle reliquie nei pilastrini sepolti e nascosti sotto la mensa di pietra, che per metà era scoperta e fungeva da altare. Nella cavità della colonnina centrale è stata riposta una pergamena a ricordo dei lavori eseguiti tra il 15 dicembre 1965 e il 1° giugno 1966, per effetto dei quali la cripta si ammira in tutta la sua primitiva severa bellezza, anche con la sobria illuminazione elettrica. L’antico altare in pietra era stato incorporato in una costruzione di stucco. Demolita la sovrastruttura barocca si è riscoperta la visuale dell’abside, con l’agile finestrina che è servita da modello per il ripristino di quelle laterali, riquadrate e ingrandite nel 1870. Rimosso il cancello di ferro, è stato restituito l’arco all’ingresso della cripta, la cui scalinata si è accresciuta di quattro gradini, in seguito al ritrovamento del piano del vecchio pavimento dell’aula, che era stato interrato fin quasi a livello del presbiterio (presbiterio deriva da presbitero, ed è un termine liturgico e architettonico per indicare la parte della chiesa riservata al clero officiante. Contiene l'altare se presente, o l'altare maggiore se ve ne è più d'uno), forse in occasione della urgente apertura delle sei tombe della chiesa dopo la peste del 1656. Il pavimento è stato rinnovato ad imitazione di quello preesistente, trovato in pessime condizioni, fatto di calce rossiccia per mattone pesto. Notevoli due plinti di pietra grezza forati, rinvenuti sepolti nel pavimento e reintegrati sui presunti rispettivi basamenti dalle misure corrispondenti: con probabilità vi erano fissati i montanti di legno, che portavano uno steccato divisorio (specie di iconostasi), per impedire l’accesso del popolo al presbiterio con il muretto di sopraelevazione della cancellata di ferro. La predisposta impossibilità di accesso al presbiterio con il muretto di sopraelevazione senza accenno di scala e la cancellata di sbarramento costituiscono, dal punto di vista icnografico, una nota veramente singolare ed unica in Abruzzo. E’ superato anche il dubbio del Gavini, condiviso da altri, riguardo alla presunta continuazione del caratteristico vano attiguo e coevo alla cripta, che si credeva fosse in origine di area doppia, nel senso che occupasse anche la parte sottostante alla terza crocera della nave di sopra adibita a uso di sepolcro. Scendendo nella mistica chiesetta sotterranea, ritornata alla fisionomia e snellezza originarie, ci si trova di fronte ad un’architettura del passato realizzata, è vero, con povertà di mezzi e con materiali ingrati, ma con tanta potenza espressiva da portare immediatamente il pensiero al raccoglimento ed alla meditazione. La chiesa superiore. Tra la fine del secolo XIII e il secolo seguente la primitiva chiesa sorta sulla cripta venne ampliata e sviluppata a pianta basilicale (lunghezza interno m. 22, larghezza m. 17), a tre navate con sei colonne rotonde e otto arconi, in pietra: impossibile precisare se il lavoro fu eseguito per iniziativa dei monaci o dopo la loro partenza. Nella prima metà del XV secolo fu costruita l’attuale facciata, probabile opera di maestri comacini o lombardi, con il bel portale di stile romanico, simile e coevo a quello della chiesa dentro le mura cittadine oggi detta del Carmine, fondata dagli assergesi nel secolo XIV o XV. L’architrave è ornato di ramoscelli di vite e di pioppo o edera, nascenti da piccolissimi vasi con l’Agnello tra due stemmi di Assergi, nei quali la spiga si eleva sulla vetta del centrale di tre colli (mentre in altri stemmi figurano sei colli). La pittura della lunetta rappresentava la Madonna con S. Franco e S. Egidio ai lati. A destra del portale, che alcuni attribuiscono al secolo XII, è inserita una piccola pietra scura rettangolare, purtroppo rovesciata, scolpita in quattro riquadri, uno dei quali reca la croce benedettina. Potrebbe essere un avanzo della vecchia facciata, quella primitiva, di cui è ignota la conformazione. Forse verso il 1446, cioè qualche anno dopo che la porta era già in opera, fu eseguito lo splendido rosone gotico, dove è chiaro l’intervento delle maestranze aquilane educate alla scuola di Collemaggio. Esso somiglia ad altri due rosoni gemelli, uno a Rosciolo e l’altro ad Albe, tanto che le tre opere, diverse solo un po’ nelle dimensioni e in qualche particolare, possono dirsi dello stesso artefice. In quel tempo dovette essere sviluppato anche il caratteristico campanile a vela e forse furono costruite, se pure non preesistevano, le due cappelle delle navate nord e sud con archi di pietra, nonché l’aula della sacrestia, ancor pavimentata con lastroni del ‘500. Il portichetto dell’ingresso laterale è quasi interamente costruito di materiale frammentario che va dal XII al XVI secolo. Notevole la pietra con lo stemma di Assergi, sormontato da una pigna, simbolo della saggezza per l’armonica e sapiente distribuzione dei suoi semi. Col Seicento termina la storia monumentale di Santa Maria di Assergi e ne comincia la trasformazione barocca. Il gusto d’Italia tutta sentiva il bisogno di svincolarsi dalla sobria eleganza del Cinquecento. Non si ebbe il coraggio di smantellare la facciata, ma l’interno della chiesa subì trasformazioni organiche tali da cancellare ogni carattere di rinascenza. Gli artisti del XVIII secolo non si fecero scrupolo di spiccar volte su quadri dipinti a fresco, di seppellire colonne dentro piloni di muratura. Nel 1746 le colonne furono riquadrate e fu ristuccata la Chiesa. Nel 1781 l’edificio fu rialzato, con notevole pregiudizio della statica, nonché dell’estetica propria del carattere romanico. Fu murata la finestra a rosone della facciata e quella sesti acuta sopra l’abside e furono aperti otto finestroni laterali, quattro per ciascuna parete, nel tratto di muro sopraelevato. Su progetto della Soprintendenza ai Monumenti, sotto il cui vincolo si trova la chiesa per il suo carattere artistico, con l’autorizzazione del Ministero della Pubblica Istruzione ai sensi dell’art. 2 della Legge 1-6-1939, n. 1089, furono eseguiti i lavori della chiesa superiore, nel periodo compreso fra il 23 novembre 1964 e il 6 marzo 1965. Liberate le colonne dagli stucchi settecenteschi, fu rimosso il pavimento e, formato il vespaio di pietre, fu gettato il massetto di cemento armato, necessario per il consolidamento dei numerosi vuoti sottostanti (cripta e tombe). Il vecchio e sconnesso pavimento, simile a quello lasciato nella sacrestia, era di semplicissimi lastroni di pietra calcarea, due dei quali, datati 8 maggio 1538, son conservati nel piccolo museo parrocchiale, pavimentato, insieme con la stanza attigua alla cripta, con le migliori pietre recuperate nella chiesa. Non sappiamo come fosse il pavimento della chiesa del 1150 a una navata e neanche di quella attuale con le tre navate, dal tempo dell’ampliamento fino al 1538. E’ scomparso l’altare maggiore barocco, in muratura, alto e pesante, che impediva la vista dell’abside, sfondo tipico del tempio romanico. Il nuovo altare, frontale, è costituito dalla mensa medioevale rinvenuta nella demolizione dell’altare di S. Franco, nel 1973. A fianco di esso spicca il meraviglioso tabernacolo del 1502, in pietra policroma, di Michele il Tedesco. Sintesi di arte gotica e rinascimentale, è “lavoro rarissimo ed originale” non trovandosi negli Abruzzi nulla di somigliante, eseguito con quella franchezza e genialità che sono proprie dei grandi maestri. Al vertice porta scolpita la fiamma, al centro il calice con l’Ostia, a destra lo stemma di Assergi. Sotto l’archetto cuspidato, che si sviluppa su due eleganti pilastrini quadrati, è dipinto un espressivo Cristo morto, col sangue che scende dallo squarcio del petto: realistico intuitivo richiamo all’Eucarestia. Il mirabile affresco è attribuito a Francesco da Montereale, morto intorno al 1541 e sepolto nella chiesa di S. Francesco, nell’Aquila, demolita nel 1878. I due angeli che sorreggono il Cristo sono quasi completamente perduti a causa di un inspiegabile trasferimento subìto dal tabernacolo che il Gavini trovò nella parete settentrionale della chiesa, a sinistra dell’altare di S. Franco, e del quale curò il ritorno al posto di origine, verso il 1900.

Dal libro di Demetrio Gianfrancesco - "Assergi e S. Franco"



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