Assergesi nel mondo - Ricordo di Olga Maria Vitocco a cura di Eugenia Vitocco


Cari amici di "Assergi Racconta", oggi pubblichiamo una riflessione di Eugenia Vitocco in ricordo di Olga e di Assergi.
Verrà letto durante la presentazione del libro Tundurundù del prossimo 14 marzo.
La foto che ritrae Olga ed Eugenia, è stata scattata nella seconda metà degli anni cinquanta.

Ricordo di Olga Maria Vitoccoa cura di Eugenia Vitocco

"Tutti hanno la propria storia di famiglia e se dedicassero un momento a scriverla potrebbe diventare una risorsa di eventi che si trasformano in esempi per le generazioni che seguono in un mondo che sta correndo a velocità ormai incalcolabile senza un traguardo e senza caldi affetti verso l'abisso.
Sono anziana, non voglio usare la parola vecchia perché non si è mai vecchi per scrivere, il corpo invecchia ma non la mente; a meno che volontariamente si acceleri il non volere pensare più. Vivendo in una terra straniera ho dovuto sacrificare il meglio della mia esistenza, l'amore per la mia terra e la gioia di essere stata parte di una famiglia, dove regnavano amore, affetto e dedicazione l'un per l'altro. Ora la mia mente è un agglomerato di ricordi, sono tanti uno accanto all'altro, impaccati l'uno sull'altro nella mia scatola cranica, ma ora con il mio tempo che mi appartiene tutto, cercherò di tirarli fuori ad uno ad uno per palesarli ai miei cari affinché sappiano che nelle sofferenze si scopre il vero mondo e il proprio io e Dio. Un mondo di una vita vissuta in una famiglia dove Dio aveva il suo più elevato posto per proteggerci e dirigerci. Eravamo otto figli e come in tutte le famiglie numerose eravamo divisi in gruppi, io ero la maggiore dei tre ultimi nati. Non menzionerò la nostra vita di adulti, io vivo negli USA da cinquantasei anni e tra me e loro c’è stato l’Oceano Atlantico. Sono tornata alcune volte con la mia famiglia e, per quanto lunghe ci sembrassero quelle vacanze, non sono state sufficienti per saziare la mia ansia di rivivere con i miei fratelli e sorelle, compagni e parenti, la mia infanzia e la mia prima giovinezza quando i sogni sono meravigliosi, perché non si conosce e non si vede la realtà del futuro. Come ho detto sopra, eravamo otto figli; la maggiore ed il maggiore eruditi e bene educati in collegi aquilani; la maggiore delle nostre sorelle era di tredici anni più grande della più piccola, Olga. Una vita diversa tra le due. Nelle famiglie i primogeniti nascono in un mondo di benessere e di carezze da parte di tutti. Per i più piccoli questo mondo cambia; i genitori sono stanchi, i nonni sono morti e le risorse monetarie si stanno esaurendo. Mio padre, emigrato in America per sette anni nelle miniere Americane in Dudley Pennsylvania, aveva riportato buoni risparmi che si aggiungevano al frutto della professione di ostetrica di mamma (una delle prime ad avere un diploma in Aquila, riconosciuto nella scuola di Ostetricia d’Abruzzo) senza contare poi una non piacevole ma consolante pensione Americana che mia nonna riceveva mensilmente dal Governo degli USA per il sacrificio di suo figlio Fortunato Vitocco che richiamato alle armi partì da Dudley Pennsylvania con l’esercito Americano a combattere in Francia per liberare il popolo Europeo dai prenazisti dell’era. E vi morì, dichiarato disperso; oggi il suo nome eccelle tra tanti altri soldati Americani nel salone di entrata del cimitero MEUSE-ARGONNE AMERICAN CEMETARY AND MEMORIAL, Romagne, France.
Eccomi adesso a rivivere la mia infanzia condivisa con Olga, la più piccola della nostra famiglia con cui ho condiviso il lettino forse dal momento della sua nascita in una ristrettezza di spazio che ancora oggi vorrei contare tutti gli angeli custodi che ci erano attorno per farci crescere così buoni e sani di mente e di corpo nell’immenso freddo di Assergi con un riscaldamento limitato solo ad una stanza con un caminetto non sufficiente per riscaldarci ventiquattro ore su ventiquattro. Con le preghiere, anticipavamo la primavera. Dico sempre: “Dio tu sicuramente raddoppiavi il calore naturale dei nostri corpicini riscaldandoci una abbracciata all’altra per vincere le temperature invernali e crescere sani e forti come siamo stati”.
Mi affiora nella mente un periodo di quasi tre anni trascorsi nel Teramano zona di origine di mia madre. Le nostre risorse monetarie cominciavano a scemarsi anche per colpa di una Guerra desiderata solo da quei pochi che sfoggiavano camicie nere. Mia mamma accettò tre anni di interinato ostetrico in Cermignano, Teramo, sostituendo la sua amata zia Eugenia in pensione. Mia sorella Olga aveva sei anni, io ne avevo dieci, il mio fratellino Fabio otto. Gli altri quattro erano rimasti a L’Aquila con papà a studiare ed uno alle armi. Soli, in una modesta casa, ancor più fredda di quella in Assergi perché in quelle zone c’era una terribile carenza di legno da bruciare. Mia mamma presa dalla professione, essendo un comune molto vasto con tante frazioni attorno, era impegnatissima giornalmente con le sue partorienti e puerpere e il più delle volte si assentava anche per tre giorni. Io la più grandicella m’ero assunto l’obbligo di stare attenta agli altri due, ero una piccola madre, una qualità che mi aveva fatto maturare anzitempo e mi aveva privata di parte della mia giovinezza. Li facevo mangiare, andavamo a scuola e non mancavo mai a sera, appena cominciava ad imbrunire dietro raccomandazione di mamma chiudevamo e serravamo quel grosso portone che era lì in quella casa. Era così duro spingerlo perché poca era la nostra forza fisica per spingerlo. Rivedo Olga e il mio fratellino darmi una mano e poi un po’ impauriti di quel paese che non conoscevamo bene, pieno di bullismo per i forestieri di cui ne eravamo un po’ vittime, andavamo a letto a dormire; il mio fratello al suo arrangiato lettino e io con Olga nel letto grande di mamma. Dio come era freddo. Dovunque andavamo c’era freddo. Recitavamo insieme le nostre preghiere e menzionavamo ripetutamente il nome di mamma, che era fuori di casa a lavorare, affinché Dio la proteggesse e poi un’invocazione a tutti i beati affinché proteggessero il nostro fratello maggiore alle armi e poi prigioniero di Guerra in Germania.
Olga, la più piccola, l’ultima nata nella famiglia, più volte pregando mi chiedeva “Noi parliamo con Dio e Gesù Cristo tutte le sere, perché non ci si fanno vedere, perché essi non parlano con noi?” Ero bambina anche io e la mia risposta era da bambina: “Sono nascosti li dietro a quel muro”, era un muro sempre caldo perché dietro c’era il caminetto della nostra vicina ed era il solo angolo con un po’ di calore ed io mentalmente l’avevo regalato a Dio e Gesù Cristo, non volevo che anche loro soffrissero il freddo come noi. “Lasciamoli dormire perché anche loro vogliono dormire. Addormentiamoci adesso, forse domani si faranno vedere”. Era così ogni sera, aveva il mistero di Dio in sé e non l’ha mai visto (del resto anche Mosé non lo ha mai visto), ma lei lo ha adorato come un vivente attorno a noi. Ricordo un avvenimento in Assergi; ogni casa aveva una speciale scatola, appesa al muro, contenitore del sale. Mamma un giorno le disse: “Olga vai a comprare il sale”. Le dette la moneta e prese la scatola: così era l’uso e con un dovere ossequioso andò. Aveva cinque anni. Va alla rivendita di sale e tabacchi (il sale era Monopolio di Stato), e non c’era sale, stavano scaricandolo, allora va ad un negozio di generi alimentari e la risposta fu “Noi non vendiamo sale”. Va ad un altro negozio, stessa risposta; alquanto arrabbiata lancia la porta-sale nell’aria e dice: “Signore perdonami adesso vado indietro e con questi soldi mi compro tutte caramelle”. Fece ridere molti passanti. Poi mio padre era un produttore di miele e lei di nascosto rubava un pochino di miele per farlo assaggiare alle sue compagnucce. E di questi ricordi ne potrei scrivere pagine piene, ma l’amore più intenso e più umanitario lo ha rivelato per mio padre e per mia madre che rimasti soli, li ha prelevati da quel paese umile e spopolato a causa della emigrazione all’estero e se li portò ad Avezzano dove lavorava. Li ha custoditi come si custodiscono due bambini, con cure, con una buona alimentazione e più di tutto con quel tipo di amore per alleviare i disagi di chi giornalmente invecchia sempre di più. Nutriva un amore per loro tale da sacrificare anche la sua età che avanzava, ignara che c’era un futuro che l’aspettava e che doveva rispettare, sposando con benedizioni di Dio un ragazzo che ha condiviso con lei il crescere dei suoi figli e il custodire mia mamma rimasta vedova e ammalata con cure e amore senza limiti. Se fosse nelle mie facoltà decisionali, la definirei santa, infatti come tutti i santi ha sopportato per venti anni un male che senza pietà colpisce forse i più buoni su questa terra, senza una speranza di guarigione, lottando con forza contro di lui che la corrode giorno dopo giorno fino alla fine. Quando le telefonavo lei era più preoccupata della nostra salute di quanto lo fosse per se stessa; con un coraggio e una rassegnazione e una fede affiliata con Dio sopportava la malattia senza il minimo lamento, sembrava incoraggiasse gli altri a non considerarla ammalata e a non preoccuparsi per lei, non voleva compianti attorno, voleva vedere tutti felici, non voleva che il suo stato interferisse sulla vita degli altri.
Ho tanti ricordi di questa mia sorella compagna d’infanzia e di giovinezza; vorrei averla vicino come allora quando ci riscaldavamo in quel lettino abbracciandoci e pregando Dio e Gesù Cristo aspettando sempre che uscissero da quel muro caldo dove io dicevo che stavano dormendo e di non disturbarli. Le sue elemosine erano continue e segrete, non suonava trombe per svelarle ad altri. Una volta entra in un negozio nelle sue vicinanze dove era solita andare, a fare spesa, trova i padroni a piangere, stringendosi le meningi in vera disperazione perché non avevamo moneta per pagare un debito di cinquecento mila Lire con cambiale che scadeva quel giorno. Senza esitare prese il il libretto degli assegni e gli firmò un assegno. La ricoprirono di mille benedizioni di Dio e per di più non ha mai chiesto loro indietro i soldi. Era solo felice di aver aiutato qualcuno nella disperazione del bisogno. Potrei riempire pagine intere su questa mia sorella; al momento ben so che con la sua dipartita è lassù con quel Dio e Gesù Cristo che da bambina voleva tanto vedere e parlarci. Adesso è con loro e li vede e ci parla; vorrei ascoltarla".
A mia sorella Olga.

Eugenia Vitocco Sacco



 



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