La “cogna” dello strutto

Ricordo che una quarantina d’anni fa, forse più, come si entrava nella cantina di casa al centro storico di Paganica, si avvertiva un odore di rancido, ma non si capiva bene da dove venisse tanti erano gli oggetti li riposti. Così un giorno decisi di cercare la provenienza di questo fastidioso odore, presa una scaletta e sopra una panca cominciai a spostare bottiglie, damigiane, ceste di vimini e proprio dentro una di queste, c’era una cogna di terracotta con dentro dello strutto rimasto li chissà da quanto anni. Subito mi tornò in mente quando fino agli anni cinquanta quando si ammazzava il maiale, una parte dello strutto ancora caldo, veniva messo in quella cogna ben chiusa da un coperchio e dopo che finiva quello che veniva confluito nel budello del maiale, con una “cucchjarella” di legno, facendo attenzione di non prenderne troppo, si scioglieva nella padella dove venivano fritte le patate spesso anche per la colazione. Sarà stata pure la fame, ma i giovani di oggi non possono capire che profumo e che sapore avevano quelle patate, alla faccia del colesterolo! Con questo ricordo, presi la cogna e con la “cucchjarella” di legno piano piano la svuotai, poi con dell’acqua bollente riuscii a toglie il residuo di strutto rancido, un lavoraccio, poi con un fiasco di aceto di vino anch’esso bollente il recipiente riacquistò un odore sopportabile. Osservandola più attentamente, notai chissà quando e alla mani di chi, la cogna si era rotta e poi riparata da abili mani con delle grappe metalliche. La mia età mi porta a ricordare quando questi artigiani che venivano da paesi lontani, con mezzi di fortuna, più spesso a piedi, giravano per i borghi del circondario in cerca di riparazioni da fare sia di piatti, tegami in terracotta, portafrutta e spesso gli stessi riparavano anche gli ombrelli. La loro abilità nel riparare gli oggetti di ceramica o terra cotta, consisteva nel bucare le parti da riparare, con una specie di trapano manuale ad arco, senza sfondare il materiale per fare in modo che l’oggetto potesse continuare a vivere, in quanto non c’erano i soldi per comprarne un altro e la riparazione costava poco e spesso veniva barattato con prodotti di casa. Questi poveri cristi, spesso passavano la notte all’interno di qualche stalla. Ritornando alla cogna, dopo averla ripulita, per molti anni è stata adoperata come porta vaso nell’aiuola intorno casa, poi per paura che i figli la rompessero con qualche pallonata, è stata usata come porta ombrelli all’ingresso e da alcuni mesi è tornata di nuovo in un angolo della cantina. Credo questo per il momento sia il posto giusto, anche perché ogni volta che scendo giù in cantina, attrae il mio sguardo, la sua difformità, la sua semplicità, quei segni del tempo riparati chissà da chi, quel profumo d’antico! Ecco, forse questa è la sua bellezza che prima non avevo mai apprezzato. Chissà se quando riuscirà nuovamente dal buio della cantina ci sarà chi potrà raccontare questa sua lunga storia!

- Raffaele Alloggia -



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