- da Montagna TV - Giampaolo Gioia: storia della prima vera salita italiana al Peak Pobeda

L’AQUILA – Kyrgyzistan, 1990. Le frontiere sovietiche sono aperte da soltanto un anno. E una spedizione italiana, facente parte di un progetto di scambio culturale con i paesi dell’Est, si avvicina per la prima volta alle montagne del Tien Shan. Tra loro c’è l’aquilano Giampaolo Gioia, che torna a casa con due prime italiane: la salita del Khan Tengri (7010 metri) e quella del difficile Peak Pobeda (7439 metri), che fino a quest’estate con Carlo Alberto Cimenti, non vede altro italiano sulla sua cima. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare quell’avventura.

Giampaolo, come finisti sul Peak Pobeda in quei difficili anni?
La nostra spedizione era promossa dall’associazione Italia- Urss e rientrava in un programma culturale di scambio alpinistico fra l’Italia e l’Unione sovietica. Noi siamo stati un mese là e poi loro avrebbero dovuto venire da noi l’anno successivo. Eravamo 5 alpinisti italiani , diretti al Kan Thengri e sulle montagne vicine insieme ad un gruppo di sovietici. Salii sul Kan Thengri da solo, per una parte insieme ad un alpinista francese. Poi scesi andai con 7 sovietici a fare il Peak Pobeda. Era il 3 di agosto quando arrivammo in cima, e tornammo in Italia circa 10 giorni dopo. Riportai dei congelamenti, non sono stato granchè bene però tutto sommato è stata una bella avventura. Purtroppo l’anno dopo, quando i nostri amici sovietici avrebbero dovuto venire in Italia, ci fu il “casino” fra Eltsin e Gorbaciov, arrivò un telex dalle autorità e non li fecero uscire dal paese. A noi è tanto dispiaciuto perché avevamo già organizzato tutto, escursioni e gite a Venezia o Roma. Erano brave persone. Furono bravissimi ci fecero stare bene”.

Cosa ricordi della salita?
Arrivammo in elicottero al campo dei Kirghisi. C’era anche un campo dei Kazaki ma noi stavamo con i Kirghisi. Eravamo praticamente solo noi, non ricordo altri alpinisti europei a parte quel francese con cui salii il Kahn Tengri. Quella fu una bella salita. Poi andammo al Pobeda: ci scaricarono con l’elicottero sul ghiacciaio, io e i 7 sovietici, andammo verso destra sotto una serie di seracchi incredibili, proseguimmo sul filo di cresta fino ai 7mila metri e poi facemmo tutto il traverso fino in vetta: una cosa molto lunga e abbastanza faticosa. Ma il vero problema era l’attrezzatura degli anni Novanta: non è quella di adesso, pensa usavamo le canadesi da 8 persone con la chiusura a strozzo, furono micidiali. In più io stavo solo con questi qua, un po’ ci capivamo in inglese ma soprattutto il ritorno fu duro perchè io avevo un inizio di congelamenti ad un dito del piede.

Il tuo alpinismo è poi proseguito sugli ottomila. Che cosa stai facendo ora?
Due anni fa siamo stati al McKinley con il Centro Documentazione Alti Appennini (Cdaa). Ma dopo il 2009 la montagna ha dovuto aspettare un po’. Abbiamo avuto il terremoto che ci ha scombussolato a livello fisico e mentale. Non auguro a nessuno,nemmeno al peggior nemico, un’esperienza simile. Ci ha colpito fortemente e da allora è stato tutto un riorganizzare la propria vita. Piano piano, ora, torniamo alla normalità.
Giampaolo Gioia, aquilano, è responsabile della squadra del Soccorso Alpino dell’Aquila. Ha un passato da sci alpinista e skyrunner, con molte salite in ambito extraeuropeo. Ha salito il Khan Tengri in sole 7 ore tra andata e ritorno e il Cho Oyu (8201 metri) nel 2002 in 11 ore. Ha partecipato alla spedizione “K2 2004 – 50 anni dopo” e ha salito il Broad Peak (8.047 mt) in Karakorum nel 2007.

 



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