Roio Piano, Silenzio che ingoia le speranze

- di Fulgenzio Ciccozzi* - Dopo sei anni è giusto prestare attenzione verso una realtà che ha avuto una considerazione piuttosto misurata nel calderone della ricostruzione. E’ necessario dare ascolto a coloro che fino a qualche anno fa vivevano serenamente in un piccolo centro storico oggi devastato e ultimamente vilipeso da sconsiderati predatori notturni. Ed è anche opportuno dare voce a chi voce non ce l’ha: case, cose, vicoli e aie di quel lembo martoriato di Abruzzo. Luoghi dell’anima, vuoti nella vita ed erosi dall’abbandono. Una vita che il destino ha voluto trasferire nelle giallognole case ubicate a ridosso delle contrade circostanti. Il carattere di provvisorietà che avrebbe dovuto caratterizzare questi insediamenti sembra che stia perdendo le sue caratteristiche primordiali. Villaggi posti accanto ai paesi al fine di mantenere i rapporti sociali tra gli abitanti per evitare che i borghi perdessero la loro identità, come invece è accaduto per Roio Piano: l’unico abitato a non avere un insediamento di questo tipo. Abitazioni provvisorie occupate legittimamente, s’intende, per forza degli eventi, da chi ansima nel voler riappropriarsi del proprio destino e chi invece con un medesimo desiderio, ma più contenuto, si è in un certo senso adagiato tra le braccia di morfeo: nella caotica quotidianità di questi insediamenti. Un’impasse che lascia crescere le nuove generazioni estranee al luogo di origine. La “perfida nuvola” che si aggira sul cielo di questo borgo sembra aver impedito ad alcuni progetti che si paventavano all’orizzonte di non realizzarsi: il recupero del plesso scolastico (ex scuola elementare), il centro polivalente - abitativo, tanto pubblicizzato, della Caritas, il campo di rugby in parte donato e in parte finanziato dall’allora provincia di Rovigo. Tutti e tre i progetti sono sfumati, svaniti nel nulla, in silenzio: un silenzio che uccide e che ingoia le speranze. Un silenzio chiuso da un muro invalicabile di indifferenza e di egoismo. Un silenzio che reclama spiegazioni verso chi in quei progetti ci credeva, verso coloro che hanno investito in denaro e altruismo e soprattutto nei confronti di chi tiene al futuro di questo paese e a uno sviluppo armonico dell’altopiano. Così, come, i comuni cittadini non riescono a comprendere (nonostante i dati prodotti e i prospetti pubblicati) perché, per il centro storico di Roio Piano, in ordine alle priorità, i lavori di ricostruzione partono in una fase successiva a quello di altri paesi dello stesso comprensorio. E’ forse meno distrutto degli altri? Ci sono meno prime case? O forse gli insediamenti commerciali e artigianali sono meno “numerosi”? (e se sì, quali?). Non era forse più corretto considerare tutte e quattro le frazioni della valle come un unicum e distribuire le risorse disponibili (naturalmente in proporzione) facendo sì che iniziassero il percorso di recupero insieme? Poi, analizzando la ripartizione in comparti (quattro in tutto) della medesima frazione ci si accorge che uno di essi occupa quasi mezzo centro storico. In virtù di tale cospicuo spazio è chiaro che le abitazioni principali sono ampiamente diluite con gli altri fabbricati, rimescolando di fatto l’ordine di priorità in ambito dello stesso paese, e riducendone il punteggio che ne assegna poi le tempistiche. E succede anche che nel medesimo comparto insista un consorzio in cui ci sono più prime case di altri. Quanto dovranno attendere quei proprietari per vedere una gru ergersi nel cielo di ciò che resta di tali abitazioni? Ci si sforza quantomeno di intuire gli “inverni” che dovranno ancora alternarsi! Nebbia assoluta! Ripensandoci bene, però, un po’ di lungimiranza e un adeguato piano di ricostruzione avrebbe quantomeno lenito queste ferite. Intanto, si chiedono chiarimenti e come cagnolini si fiutano e poi si analizzano le notizie che possono concedere spazio a lumi. Si rincorrono i tecnici, si vanno a chiedere delucidazioni nei “front office” della ricostruzione (Comune e Usra). E poi riunioni e ancora riunioni! Per quanti anni sarà necessario seguire questo tortuoso percorso procedurale? E’ chiaro che per evitare malumori e palesi ingiustizie è opportuno restituire nel più breve tempo possibile le case a chi ci abitava e il paese a chi lo ha perduto. Se non altro per rasserenare gli animi e lasciar guardare “gli esuli del sisma” con più fiducia verso un futuro che comincia ad assumere un profilo psicologico molto fastidioso e pesante.

*cultore di storia locale

 



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