Stangata Imu: fino a 50mila euro sulle funivie, gestori in rivolta
Posted by Antonio Giampaoli | 2015-03-26 | Commenti: 3 | Letto 987713 volte
L’Imu anche sugli impianti di risalita. Non si tratta di una proposta di legge ma di una presunta obbligatorietà decretata da una sentenza della Corte di Cassazione, che rischia di mettere in ginocchio le società che gestiscono gli impianti di risalita di tutta Italia.
La sentenza che spaventa i gestori degli impianti a fune è la numero 4.541 del 21 gennaio 2015 e riguarda un ricorso dell’Agenzia del Territorio-Agenzia delle Entrate contro la società Funivia Arabba Marmolada-Sofma Spa. Il pronunciamento della Suprema Corte entra nel merito del ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto dell’ottobre 2011, che affermava l’illegittimità della nuova classificazione catastale di un impianto della società. Classificazione che la poneva nella categoria non più di trasporto pubblico, e quindi esente, ma di attività commerciale e quindi soggetta al pagamento dell’Imu. Con questa sentenza l’impianto a fune viene paragonato a un’attività commerciale. Quindi la società Sofma dovrà pagare cinque anni di arretrato dell’Ici, ora Imu.
Si tratta di un precedente che, in assenza di soluzioni politiche, produrrà un effetto domino su tutte le altre aziende del settore. L’allarme, giunto da Belluno, dove si è svolto un incontro urgente tra il presidente nazionale di Anef (Associazione nazionale esercenti funiviari), Valeria Ghezzi, e il presidente veneto della stessa associazione, Renzo Minella, per aprire un confronto con senatori, parlamentari e consiglieri regionali della provincia, è accompagnato dalle cifre: 25mila euro all’anno per una seggiovia a sei posti ai 50mila per una telecabina a otto posti. Per i bilanci di queste società, già precari e soggetti all’imprevedibilità delle condizioni meteorologiche, si tratta di un salasso insostenibile, con ripercussioni negative su un comparto strategico per l’economia turistica della montagna.
«Siamo ovviamente disponibili a pagare l’Imu sulle attività commerciali – precisa Valeria Ghezzi – ma non sugli impianti di risalita: sarebbe come tassare le ferrovie dello stato per le rotaie, visto che le nostre aziende, per la funzione che svolgono, sono per molti aspetti assimilabili a quelle di trasporto pubblico. Per di più, siamo costretti a pagare un’imposta su strutture che, alla fine della loro vita tecnica, dobbiamo smantellare, sostenendo anche questa ulteriore spesa. È come se i proprietari di una casa, dopo aver pagato per quarant’anni una tassa per il possesso di quel bene, dovessero rinunciare all’immobile, sborsando altri soldi per le spese di demolizione. Una follia».
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