Tragedia sul Gran Sasso, la Procura apre un’inchiesta per ricostruire la dinamica dell’incidente
Posted by Antonio Giampaoli | 2015-08-11 | Commenti: 3 | Letto 989705 volte
Le parole asciugano ogni retorica e per raccontare la tragedia di domenica sul Gran Sasso bisogna aggrapparsi all’immagine di una ragazzina di 12 anni che corre tra le montagne a chiedere aiuto. Per il padre sospeso sull’orlo di un precipizio con il figlio più piccolo e per la madre travolta e uccisa da acqua e pietre. È finita in un canalone a duemila metri la vita di Natascia Salvi, 44 anni, teramana, mamma di due bambini, insegnante nella scuola dell’infanzia “Pinocchio” di Colleatterrato. «Una persona a modo, molto materna con gli allievi e nello stesso tempo molto professionale», dice Clara Moschella, preside della direzione didattica di San Nicolò da cui dipende la scuola dell’infanzia. E se ora sarà l’inchiesta aperta dal pm della Procura dell’Aquila Roberta D’Avolio a dare un perché alla tragedia, il giorno dopo – quando la certezza ha spento ogni speranza – i ricordi si rincorrono e afferrano momenti di vita. «L’ho sentita venerdì», racconta Paola Rapanà, insegnante e collega di sezione della vittima. «Abbiamo parlato delle conserve di pomodoro da fare, delle vacanze, dei figli. Natascia era una collega e un’amica speciale, una collega competente, professionale, benvoluta dai bambini e dai genitori. Una donna sempre con il sorriso». E il sorriso di questa giovane insegnante, innamorata della famiglia e del lavoro, la descrive più delle parole. Che sono tante. Sui social, negli sms che passano da un telefono all’altro, nei racconti delle giornate di scuola. Come quella del 7 giugno, giorno di gran festa nella struttura di Colleatterrato per un’iniziativa sulla pace con tanto di magliette indossate da maestre e bambini. «Quel giorno», racconta ancora Rapanà, «Natascia è venuta prima, ha indossato la maglietta azzurra con la scritta pace, si è fatta una fotografia e l’ha inviata a una collega che per motivi di salute non avrebbe potuto essere alla manifestazione. Nessuna di noi altre avrebbe mai pensato a fare questa cosa. Ma lei era così, sempre pronta a dare una mano agli altri, sempre propositiva e operativa». Come quella volta che in un pomeriggio ha addobbato la scuola per le feste di Natale. «Aveva una grande manualità», racconta ancora la collega, «non si abbatteva mai e riusciva a fare ogni cosa. Era molto preparata nel suo lavoro e questo le consentiva di fare tutto. Qualche tempo fa insieme alle altre colleghe siamo andate a mangiare una pizza. Non scorderò mai quello che le ha detto il figlio prima di uscire: «Mamma, questa sera sei bellissima». E la famiglia era l’altra grande passione di Natascia. Con il marito Vincenzo Leonzi, 55 anni, impiegato Asl, e i due figli (uno di 9 e l’altra di 12) viveva a Colleatterrato basso, popoloso quartiere teramano. «Una famiglia molto unita», raccontano i vicini, «appassionati della vita all’aria aperta e delle passeggiate in montagna». E ogni volta che il lavoro lo consentiva salivano sul camper e facevano un piccolo viaggio. «Erano appassionati di montagna», raccontano ancora i vicini, «e quindi gente esperta. Sicuramente non era la prima volta che facevano quell’escursione». E nel quartiere il ricordo va a venerdì sera quando in piazza c’è stato un piccolo torneo per raccogliere fondi da devolvere alla scuola calcio. «Come sempre Natascia e il marito in prima fila a dare una mano agli altri», ricorda l’amico Enzo. «Li ho visti sorridenti e felici con i loro figli. Mi hanno detto che avrebbero fatto una passeggiata in montagna prima di decidere la meta del Ferragosto. Conoscevano il Gran Sasso e non erano sicuramente degli sprovveduti. Viaggiavano sempre con la giusta attrezzatura, a cominciare dall’abbigliamento. Quello che è successo è una tragedia per tutta la nostra comunità».
- da Il Centro -
Tanti drammi familiari tra le montagne del Gran Sasso
Si era buttato in acqua per salvare il figlio che stava scivolando dalle rocce a ridosso della cascata delle Cento Fonti, a Cesacastina, in uno degli scenari più interessanti dal punto di vista naturalistico del Parco Gran Sasso-Laga. Ma è scivolato lui stesso, facendo un volo dalla cascata battendo violentemente il capo. Se n’è andato così, un Ferragosto di tre anni fa, Donato Camaione, un piccolo imprenditore che viveva a Villa Panichieri di Nepezzano. Il suo sacrificio salvò la vita al piccolo Yarno di otto anni. Tragedie che segnano per sempre intere famiglie, come l’incidente che domenica sul Gran Sasso ha visto una donna di 44 anni perdere la vita travolta da un fiume d’acqua e sassi. Il tutto sotto lo sguardo impotente del marito e dei due figli con i quali aveva deciso di trascorrere una giornata a Monte Prena. Una tragica fatalità come quella che solo per un soffio non ha avuto conseguenze gravi a Campo Imperatore, lo scorso marzo. Un uomo e i suoi due figlioletti di 7 e 10 anni, hanno rischiato di cadere da un precipizio con il bob. A salvarli sono stati gli agenti della polizia e della Forestale, in servizio a Campo Imperatore, allertati dalla madre dei bambini che era rimasta in albergo. Il papà e i due figli stavano giocando sulla neve. All’improvviso, a causa di una manovra errata, l’uomo ha perso il controllo del mezzo che è uscito fuori pista a forte velocità finendo, dopo aver sbattuto contro alcune rocce, lungo un pendio innevato e con fondo ghiacciato, a un passo da un precipizio. All’inizio dello scorso anno la morte dello snowboardista Mario Celli, travolto da una slavina mentre era con suo fratello Paolo. Medico aquilano, appassionato di musica, il giovane era uno sciatore esperto eppure fu tradito dalla neve che amava. Altra tragedia familiare nel 2006. Sylvia Heufler, 56 anni, austriaca, è stata uccisa da un fulmine mentre stava facendo un’escursione insieme al marito sul Monte Camicia. Nell’estate del 2004, Francesco Colagrande, impiegato 54enne dell’Aquila, è morto dopo essere scivolato nel Vallone dei Ginepri. Era partito dal rifugio Duca degli Abruzzi per dirigersi sul versante teramano del Gran Sasso dove aveva appuntamento con il figlio. E sempre nel Vallone dei Ginepri, nel 2003, restò ucciso Alberto Busettini, 48 anni di Tarvisio davanti agli occhi della moglie.
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