Laboratori del Gran Sasso, la prima volta dei geoneutrini del mantello terrestre

 

 

 

Grazie alle apparecchiature dell'esperimento Borexino ospitate nei Laboratori nazionali del Gran Sasso, è stato possibile individuare per la prima volta con certezza dei neutrini generati all'interno del mantello terrestre. La scoperta ha permesso una migliore stima del calore interno prodotto dai decadimenti radioattivi che avvengono nelle viscere del pianeta

Per la prima volta sono stati identificati con certezza alcuni neutrini provenienti dal mantello terrestre. La scoperta - realizzata da ricercatori dell’esperimento Borexino ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, e descritta in un articolo a prima firma Matteo Agostini pubblicato su “Physical Review D”  - conferma le attuali teorie sulla genesi del calore interno della Terra.

L’energia termica generata all’interno della Terra ha un impatto di primaria importanza sull'evoluzione del pianeta e sulla vita. E' infatti grazie a essa che avvengono i moti convettivi del mantello fluido e, quindi, il movimento delle placche tettoniche, i terremoti e l'attività vulcanica. Eventi, questi, a cui si è soliti dare una valenza negativa, ma che in realtà hanno contribuito in maniera essenziale alla possibilità dello sviluppo della vita sul pianeta e che ancora oggi concorrono a mantenerne l'equilibrio.

La prima volta dei geoneutrini del mantello terrestre
Vista esterna di Borexino, all'interno del Laboratori Nazionali dell'INFN al Gran Sasso. (Cortesia Borexino Collaboration)
Sulla base del complesso dei dati raccolti, i ricercatori hanno stabilito che i neutrini generati all'interno della Terra, o geoneutrini (più propriamente, anti-neutrini elettronici), derivano dal decadimento dell'uranio-238 e del torio-232 presenti nel mantello, e che la componente radiogenica dell'energia che riscalda il pianeta dall'interno – stimata complessivamente intorno ai 47 terawatt – è di circa 33 terawatt, un valore decisamente superiore a quello indicato da stime precedenti, e sufficiente ad alimentare da solo i moti convettivi nel mantello.

I primi geoneutrini erano stati rilevati nel 2010 sempre dalla collaborazione Borexino, e successivamente da ricercatori della collaborazione giapponese  KamLAND (Kamioka Liquid-scintillator Antineutrino Detector) nel 2011. Tuttavia, in entrambi i casi il numero di neutrini rilevati non era sufficiente per stabilire se provenissero dai decadimenti radioattivi che avvengono nel mantello o nella crosta.

I geoneutrini attraversano indisturbati chilometri di roccia, viscosa e solida, per arrivare fino alle strutture di Borexino e in particolare ai 300 fotomoltiplicatori che rivestono una delle due sfere da cui è formato. Il rivelatore, immerso in 2400 tonnellate di acqua ultrapura, è infatti composto da una sfera più esterna, di acciaio, che contiene 1000 tonnellate di un idrocarburo, lo pseudocumene, al cui interno si trova una seconda sfera, di nylon, con 300 tonnellate di liquido scintillatore.

Grazie a questa sofisticata struttura, nel corso dei 2056 giorni di osservazione di quest'ultimo esperimento sono stati registrati 77 eventi, 53 dei quali sono stati scartati perché presentavano caratteristiche “sbagliate” e con tutta probabilità erano stati generati dai reattori nucleari attualmente in funzione.

I 24 neutrini rimanenti avevano però caratteristiche tali da poterli attribuire con certezza quasi assoluta alla classe dei geoneutrini generati nel mantello. Di fatto, è la prima volta che in questo tipo di esperimenti si supera abbondantemente la soglia probabilistica che fa considerare un risultato scientificamente certo, che nel gergo scientifico è indicato come 5 sigma:  in questo caso è stata raggiunta la soglia di 5,9 sigma.
- da Le Scienze -


 



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