Roio Piano: un tuffo nel passato con uno sguardo al presente

 

 

 

 

Nei pressi dell’Aia Grande di Roio Piano, legata a un discendente di una casa distrutta dal terremoto, resiste ancora una bandiera tricolore sgualcita dal vento. Lo stesso vento che ha distribuito i semi delle piante e arricchito l’abitato di una variegata flora cresciuta indisturbata negli spazi che solo fino a qualche anno fa l’uomo gli aveva negato. Il colore verde della vegetazione si confonde con la fitta trama di muri, residui delle abitazioni abbattute, che hanno preso il sopravvento sul tessuto urbano del paese. Nonostante abbiano perso la primordiale funzione di contenimento delle macerie, sono rimasti lì, come piccoli castelli in disfacimento, in perenne conflitto con le rade case ricostruite. I selci di alcune stradine meno transitate sono divenuti dei veri e propri cortili erbati in cui trovano ristoro le galline tenute in tuguri ricavati dai pochissimi caseggiati che hanno retto meglio al violento urto del terremoto. E proprio in uno di quegli spazi, dietro la cornice di un arco scarnito delle sue mura, in un silenzio quasi irreale, rotto qua e là dallo sporadico rumore dei motori, è possibile incontrare una delle poche persone che si aggirano per quelle vie desolate del borgo. Non si sente più nemmeno il fragore dell’acqua che sgorgava dalla vicina fonte e il brusio della gente che si adunava accanto all’attigua chiesetta della Madonna della Neve. Ecco, dunque, che quella figura amica, spuntata fuori dal nulla, ha la magia di scuoterti e accompagnarti indietro nel tempo. In una frazione di secondo la mente rimuove la realtà e s’immerge nel passato. Per un attimo, un solo attimo, quel puzzle caduto in mille pezzi sembra ricomporsi. Ma, l’incantesimo dura poco! L’omino ultrasettantenne dalla statura corpulenta, viso paffuto, mani in tasca, afferma che “là in mezzo” non gira anima viva, tranne qualche viso conosciuto (il solito anziano nostalgico sradicato gioco forza dalla sua casa) e qualche curioso che, nelle giornate migliori, va bighellonando tra i resti di un paese antico in rovina. Poi, negli intervalli dei discorsi che trattano le solite problematiche che affliggono la ricostruzione (case ristrutturate rimaste chiuse e un numero consistente di prime case ancora da sistemare…), accenna a sporadiche visite di estranei che tentano di raggirare qualche malcapitato. Alcune persiane divelte e qualche vetro infranto sono le tracce dei “soliti ignoti” che non mancano mai a certi appuntamenti. Nonostante siano ubicate nell’immediata periferia della città, queste contrade sembrano davvero lontane e irraggiungibili dalle alte sfere dell’amministrazione locale. Dopotutto qui non ci sono nastri da tagliare o opere da inaugurare. Quelle poche sono abbandonate a se stesse. Qualche volta è sufficiente scambiare due chiacchiere informali con la gente e farsi una camminata in questi luoghi, fuori dalle sedi istituzionali, per capire, conoscere e meglio amministrare. Per ora l’unico volto noto che sovente si è visto passeggiare da queste parti è quello dell’ex sindaco della precedente amministrazione cittadina, il quale sembra aver colto appieno il fascino di questa vallata! Lasciando Roio Piano ci si imbatte nei nuovi venuti che hanno trovato ricovero nell’antiestetico palazzone giallo del vicino Poggio. Alcuni vengono dal Bangladesh. Fanno il “giro dei quattro paesi”. I loro volti spaesati e incuriositi ricordano che anche qui, seppure flebile, soffia il vento dell’immigrazione.
di Fulgenzio Ciccozzi

 



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