L’Aquila, una nuova babele



 

 

- di Emanuela Medoro - Presso la Casa Di Celestino dell’Aquila, in San Bernardino Nuova, zona Santa Barbara, c’è un gruppo di stranieri, in fuga dalle loro terre natie, principalmente Nigeria e Bangladesh, per motivi che conosciamo dalla stampa nazionale: guerre, carestie, violenze e distruzioni. Hanno chiesto asilo politico, e stanno lì, in attesa di sapere l’esito della loro richiesta.

Intanto dovrebbero imparare un po’ d’italiano, necessario alla sopravvivenza in Italia, che si prolungherà per un tempo imprecisato. Sognano un lavoro, dall’edilizia all’agricoltura, dovunque. Dovunque si sentono al sicuro.

Per noi le loro lingue native hanno suoni difficilissimi, per fortuna c’è una lingua unificante: l’inglese. Per loro, la seconda lingua che parlano in modo da comunicare con noi. E l’Italiano? Come lo mettiamo in questa torre di Babele di recentissima costruzione? Una missione impossibile?

Come insegnante di inglese a riposo ormai da parecchi anni, francamente mi sento gratificata da questa opportunità di rendermi utile con il mio inglese ancora scorrevole e sufficiente per comunicare con questi fuggiaschi. Basteranno la pazienza e la fantasia didattica nata e cresciuta in tanti anni nella scuola? Mi sono subito resa conto della necessità di strumenti didattici adeguati, corsi ben strutturati, completi di esercizi scritti, centrati sulla comunicazione orale per raggiungere quello che il Consiglio d’Europa, a suo tempo, definì “livello soglia”, ovvero gli strumenti verbali minimi necessari per entrare in una comunità. In libreria ho trovato un volumetto elaborato dalla comunità di S. Egidio in Roma, e l’ho scelto fra i tanti pensando che l’utenza dovrebbe essere simile.

Ho notato diversi atteggiamenti degli aquilani nei loro confronti. C’è l’atteggiamento accogliente, piuttosto diffuso ma non privo di dubbi e riserve; c’è la chiusura completa ed il rifiuto di questa situazione nuovissima, imprevista e fuori da schemi mentali consolidati da decenni, e c’è anche la critica radicale all’accoglienza in nome del “chi paga”.

A questo proposito mi vengono in mente l’Italia umiliata e distrutta del dopoguerra e la massiccia emigrazione abruzzese in tutti i continenti. Con le rimesse degli emigranti si sono costruite tante case, anche in Abruzzo. Dunque ritengo doveroso spendere qualche briciola di danaro pubblico per questi fuggiaschi, in memoria di quanto abbiamo avuto. Mi pare anche che questa spesa possa esse un buon investimento per il futuro. È noto infatti che la popolazione italiana è in rapida decrescita, che siamo diventati un paese di vecchi, ed è altresì noto che una bella fetta delle nostre pensioni proviene dal lavoro degli immigrati integrati che pagano le tasse. E dunque, ben venga questa Torre di Babele in San Bernardino Nuova, cerchiamo di darglielo un po’ d’Italiano a questi giovani che hanno tanta fiducia in noi.

 



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