Franco e Ovidio, i pastori del Gran Sasso al tempo del Jobs Act

 

 

 

È musicista e scrittore, è figlio di un avvocato e di una pittrice, e ha scelto di tornare all’essenza del territorio dove è nato, cime aspre che si alternano a vallate e declivi. Franco Cagnoli, 34 anni, è la versione 2.0 di quei pastori che Gabriele d’Annunzio ha immortalato in una delle più belle poesie del ’900. Sono passati più di due secoli, e la figura del pastore conserva ancora lo stesso fascino, nonostante il progressivo abbandono di un mestiere faticoso e che oggi molti giovani vanno riscoprendo. E non si tratta solo di scelte legate a mere necessità economiche, che già da sole basterebbero a fornire una spiegazione al fenomeno della riscoperta della pastorizia. È il caso di Franco, oppure di Ovidio Damiani, che ha voluto continuare nella tradizione tracciata dai suoi avi, ma nel solco della modernità. «Non credo sia stato il destino a portarmi a Calascio», spiega Franco Cagnoli, «ma la volontà. Credo nella chimica. Sono un figlio di questo territorio e mi sento costituito nel profondo dalla stessa materia della sua roccia, della sua acqua e della sua aria. L’esperienza mi insegna anche che le cose appartengono realmente non a chi se le ritrova per diritto di nascita, ma a chi le ama e se ne prende cura al di là di tutto». Ecco le ragioni profonde di un percorso che ha portato Franco a incidere dischi, a pubblicare per l’edizione Albatros di Feltrinelli “La cicala (sogno d’una notte in pieno inverno)”, e infine a diventare pastore. «Sono arrivato a Calascio perché ho semplicemente deciso di arrivarci. Quello che ne sarebbe stato di me si sarebbe visto in seguito». La conoscenza di un altro pastore, Mimì, gli ha cambiato la vita. «Il primo anno l’ho passato insieme a lui, tra le montagne. Un’esperienza indimenticabile che ci ha inevitabilmente legati in maniera forte e particolare. Ho imparato cose che non avrei mai immaginato di poter imparare, su cui potrei quasi scrivere un libro, e che ho applicato, poi, nel periodo più bello e intenso della mia vita, ovvero il secondo anno... quello in cui ho fatto il pastore a tutti gli effetti, passando la maggior parte del mio tempo in solitudine con il gregge e i cani. Non so che ne sarà del mio destino, ma tra le tante cose da fare che ho oggi, conservo sempre un sogno dentro me stesso: quello di camminare un domani con il mio gregge tra queste montagne, nel mio piccolo, in barba alla piega che sta prendendo questo mondo... una piega nella quale non vorrei essere assorbito». Ovidio, 31 anni, è nato in una famiglia di pastori. «Mio padre e mio nonno facevano questo lavoro da sempre». Ovidio però ha voluto dare un connotato tutto nuovo all’attività di famiglia, e con l’aiuto dell’associazione degli allevatori è riuscito a creare il marchio dell’agnello del Centro Italia e del formaggio canestrato di Castel del Monte. Una circostanza di non poco conto, considerato che ha consentito agli allevatori del posto di spuntare margini di guadagno ben più elevati rispetto al passato. «Quando inizia la mia giornata? Non ho orari. Gli animali hanno bisogno di essere accuditi tutti i giorni, dall’alba fino a sera inoltrata, in ogni stagione, a prescindere dal tempo».

di Angela Baglioni - da Il Centro -


 



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