Ritrovato in Russia l’esercito dei dispersi, forse tra essi anche Alpini del Battaglione L'Aquila

 

 

 

Dopo settantatré anni è stato ritrovato in Russia l’esercito dei dispersi: corpi di soldati che persero la vita durante la ritirata di Russia, fine tragica dell’operazione ARMIR (Armata italiana in Russia) decisa da Benito Mussolini in accordo con i nazisti nell’ambito della cosiddetta Operazione Barbarossa. Morti dopo essere stati imprigionati nei tristemente noti gulag sovietici con l’inizio della controffensiva di Stalingrado.

Come scrive lo storico Goffredo Palmerini: " Forse tra essi anche Alpini del glorioso Battaglione L'Aquila. Partirono per la Campagna di Russia 52 Ufficiali, 52 Sottufficiali, 1752 Alpini. Del Battaglione tornarono in Patria solo in 162. Memorabile l’eroismo degli alpini abruzzesi nella battaglia di Selenyj-Jar, nel dicembre ’42, un tragico Natale di sangue su quel fronte. Questa solo una delle molteplici tragiche conseguenze per le truppe italiane inviate in Russia con l'ARMIR (229.000 uomini, ne tornarono solo 10.032), nella sciagurata decisione del Duce d'affiancare nel 1941 l'esercito tedesco di Hitler in quell'invasione. E peraltro Mussolini già un'altra tragedia aveva provocato con la guerra contro la Grecia, nel 1940-41, per le sue manie di grandezza "...spezzeremo le reni alla Grecia, in due o dodici mesi ..." (Mussolini).

E’ bastato scavare assai poco per vedere i primi resti, ossa e qualche medaglietta. E andando avanti a scavare si è scoperta una fossa comune grande come cinque campi da calcio, spiega Diego D’Amelio sul Piccolo, cinquecento metri di lunghezza e cento di larghezza, con teschi e ossa fino a quattro metri di profondità.

La fossa si trova a quindici chilometri da Kirov, a 800 chilometri a nordest di Mosca. Nove campi di concentramento in cui fino ad oggi risultavano scomparsi duemila militari italiani. E adesso la Farnesina è in moto per riportare in Italia quelle preziose spoglie.

I resti non sono solo di soldati italiani, ma anche tedeschi, rumeni e ungheresi. Morti di freddo, di fame e di malattie (tifo, soprattutto) dopo la deportazione, alcuni arrivati già cadavere alla fine del viaggio e sepolti lungo la ferrovia.

La notizia, spiega D’Amelio sul Piccolo, è stata diffusa dalla sezione Ricerche storiche del Gruppo speleologico di San Martino del Carso. I ricercatori russi Alexey Ivakin e Andrey Ogoljuk, accorsi subito sul posto, stimano la presenza di 15-20mila persone, che farebbero di questo uno dei più importanti ritrovamenti mai fatti.

Adesso bisogna agire in fretta, perché quel terreno è destinato ad essere edificato. Il vicepresidente del Gruppo speleologico di San Martino del Carso, Gianfranco Simonit, visto lo scarso interesse dall’ambasciata italiana, ha contattato la senatrice Laura Fasiolo (Pd), la quale ha scritto al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni.

Contattata dal Piccolo, la senatrice ha spiegato che “l’ambasciata sta approfondendo la cosa dopo aver verificato l’effettiva esistenza della fossa. Si tratta di individuare medagliette e altri segni identificativi, per ricostruire le nazionalità dei soldati: l’area è destinata alla costruzione di case e bisogna espropriarla per evitare che i resti vadano dispersi”.

Lo stesso Gentiloni si è assunto questo impegno, ricordando che la notizia della scoperta della fossa era arrivata all’ambasciata lo scorso giugno e che il 12 luglio il sito è stato delimitato per passare nelle disponibilità del Comune di Kirov, e quindi non essere più oggetto di edificazioni. Se, come si presume, verranno effettivamente trovati resti di vittime italiane le spoglie torneranno, finalmente, in Italia. Settantatré anni dopo.



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