Parlando di pericolo valanghe (di Luca Mazzoleni)


Tavola rotonda ad Assergi 24 febbraio 2018
Parlando di valanghe e incidenti relativi sui social e al bar i giudizi più lapidari e supponenti non vengono da chi la montagna la conosce e la pratica, ma da chi sa solo giudicare gli errori degli altri. Condannare è facile, ma spesso si fa senza cognizione di causa.
Le valanghe sono un argomento davvero molto complesso: rischiano e muoiono dilettanti sprovveduti come esperti alpinisti; il problema esiste ed è serio, troppo per trattarlo in pochi secondi di TG o su un post di FB. In montagna si muore per tanti disgraziati motivi, le valanghe però sono le preferite dai media, che pompano la notizia e spesso giornalisti in genere molto poco addetti ai lavori confezionano tesi e giudizi, poi l'uomo qualunque condanna. I professionisti che sanno di cosa parlano quando scrivono di montagna, sono davvero pochi purtroppo.
Gli incidenti e la morte in montagna sono eventi reali che possono colpire chiunque, in ogni momento: è bene tenerne conto, con lucidità e consapevolezza. Non esistono esperti esenti dai rischi, tutti ne sono oggetto; l’imponderabile, la sfortuna, l’incidente improvviso sono dietro ogni dosso, su una qualunque parete, oppure celati dal manto bianco e bellissimo della neve. A non aver guai aiutano certo esperienza e prudenza, ma anche l’imponderabile e il caso sfortunato hanno una parte importante. La montagna, come la vita, a volte colpisce a caso: miracola ripetutamente gli incoscienti; stronca casualmente grandi alpinisti; travolge di bianco esperti di valanghe; uccide lo sfortunato ai primi goffi passi coi ramponi; perdona i più grossolani errori di valutazione o castiga al primo sbaglio.
In montagna accadono cose terribili, come ovunque del resto. È parte del gioco e una dose di rischio va accettata: è inevitabile se si vuole sciare e arrampicare, fare facili escursioni o ingaggiarsi nella più ardua “lotta coll’alpe”.
Andare in montagna ci fa sentire vivi e godere della vita, ci avvicina agli altri e dà felicità e pienezza di essere, spesso ci aiuta a superare momenti difficili.
Da ragazzo ho messo a repentaglio salute e vita più di una volta per inesperienza e incoscienza: poi sono cresciuto e ho di imparato dai miei errori, da quelli di altri meno fortunati, da chi ha voluto insegnarmi. Ora preferisco tornare indietro piuttosto che forzare una salita, cerco di essere prudente e di non correre rischi, ma l’imponderabile comunque rimane: non posso fare altro che accettarlo, è una questione di qualità della vita, senza montagna non posso stare.
Ho sempre considerato la montagna un terreno di libertà, dove l’autodeterminazione dell’individuo si potesse esprimere senza vincoli che non fossero la limitazione delle libertà altrui o il recar danno a terzi. Credo che negli ultimi anni i frequentatori delle nostre montagne, e di conseguenza l’interesse generale verso queste attività, siano cresciuti molto. In più, televisione e media hanno scoperto che dai tanti nuovi “sport estremi” che vengono proposti in modo più o meno discutibile si può trarre qualche sensazionale notizia di cronaca. Se è purtroppo vero che in montagna si muore per tanti disgraziati motivi diversi, le valanghe però sono le preferite dai media, che pompano la notizia e spesso giornalisti poco addetti ai lavori confezionano tesi e giudizi e l'uomo qualunque condanna. I professionisti che sanno di cosa parlano quando scrivono di montagna, sono davvero pochi purtroppo.
La maggior attenzione rivolta alle montagne in questi ultimi anni ha avuto un rovescio della medaglia: la convinzione da parte di alcuni amministratori che sia loro dovere regolamentare le attività che comportano dei rischi e che prima venivano lasciate al libero arbitrio dei singoli.
Ecco quindi ordinanze sindacali con divieti per pericolo valanghe che coprono territori molto vasti, emanate a inizio inverno e che rimangono in essere per l’intero arco della stagione, spesso per anni, che vi sia o meno un reale pericolo valanghe; oppure divieti per caduta massi o frane varie in zone dove da secoli si scrive la storia dell’alpinismo, su pareti rocciose o valloni d’alta quota dove l’attività erosiva è fenomeno naturale e irreversibile.
Tali ordinanze sembrano più voler mettere al riparo da non meglio precisate responsabilità le amministrazioni che le emettono, piuttosto che tutelare l’incolumità pubblica, tant’è che molte di queste prescrizioni, proprio per il loro carattere generico e spesso arbitrario, vengono col tempo ignorate sia dagli appassionati che dalle stesse istituzioni che le promulgano e le dovrebbero far rispettare.
Piuttosto che di divieti ottusi e repressione cieca, la sicurezza in montagna ha bisogno di prevenzione e informazione: sono questi gli strumenti più efficaci per limitare il numero degli incidenti e ridurne la gravità. Vietare è semplice e immediato, costa poca fatica e ai profani può sembrare una forma opportuna di tutela, ma non è affatto utile: danneggia tutti e non crea nulla.
Si deve formare e informare chi vuole avvicinarsi alla montagna, perché possa farlo senza correre rischi inutili ed evitabili. Bisogna inoltre fornire l’opportunità a chi è già esperto o crede di esserlo di approfondire le proprie conoscenze: come nella vita, anche in montagna non si finisce mai di imparare e la consapevolezza aiuta a tornare a casa ogni sera felici, stanchi e senza brutte esperienze.
Per garantire la sicurezza certamente la soluzione non è quella di vietare per ordinanza l’accesso e la salita alle montagne: infatti ora si chiude perché alcuni muoiono a causa delle valanghe, in futuro si vieterà l’acceso perché altri muoino investiti da scariche di pietra, o colpiti dal fulmine, o perché si sono smarriti. Così non si va da nessuna parte, si imbocca solo la via dell’assurdo.
Non che si debba correre incontro al rischio, bisogna solo imparare, crescere e conoscere la montagna con le sue gioie e i suoi pericoli, che comunque nessuno potrà mai eliminare del tutto.
AI giovani e ai meno esperti si deve raccomandare una cosa molto semplice: di affidarsi nei loro primi passi in montagna qualcuno che sia capace e sappia comunicare la propria esperienza; come di frequentare uno dei tanti corsi che Club Alpino Italiano e Guide Alpine propongono.
In sintesi credo fermamente che ognuno in montagna debba essere libero di esprimersi come meglio crede e di andare dove vuole, è questa l’essenza dell’alpinismo.
Al Club Alpino Italiano, al CNSAS e alle istituzioni spetta il dovere di fornire gli strumenti culturali e tecnici perché questo possa avvenire con consapevolezza.
Corsi, pubblicazioni, manuali, servizi giornalistici e documentari, gite sociali, l’opera di istruttori, guide alpine e accompagnatori, cartelli di avvertenze e informazioni nei rifugi: qualunque mezzo è utile creare una diffusa cultura della montagna. I rischi non si potrà comunque ridurli a zero, in montagna come nella vita, mai. Ma assumersene consapevolmente il carico è fondamentale per saperli valutare e affrontare.
Luca Mazzoleni

 



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