''CRESCIUTO 'GRAZIE' AL SISMA'', L'ARTE SENZA REDENZIONE DEL GIOVANE GIORGIO SERRI

 

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Essere un artista all’Aquila, che cerca di rimettersi in piedi, a nove anni dal terremoto del 6 aprile 2009. Quello che, in una notte e senza neppure bussare, lo ha catapultato nel mondo degli adulti. 

 

Tra retroscena inconsci e speranze illusorie, ma anche una feroce ironia, va avanti Giorgio Serri, 27enne che ha studiato cinematografia e fotografia a Roma e che oggi si dedica a varie forme di arte in una città ferita e dalle precarie relazioni umane. 

Un artista, Serri, che non teme di spingersi oltre anche a rischio di scandalizzare per far riflettere, di guardare negli occhi la morte, di disfarsi delle religioni. 

AbruzzoWeb lo ha intervistato  in occasione del nono anniversario di quel terribile evento. 

Partiamo dal presente, dall'oggi: chi è Giorgio Serri a nove anni dal terremoto?

Semplicemente un essere umano, nulla di più, nulla di meno. Però, se vogliamo aggiungere qualcosa in più, sono un artista autodidatta.

Cosa è cambiato nella tua vita in questi anni?

Nel 2009 ero appena diciottenne. Tre mesi dopo il compleanno “arriva” il 6 aprile. Quella terribile scossa mi ha reso consapevole di un fatto stravolgente: in una sola notte sono cresciuto improvvisamente e mi sono reso conto che il tempo del lassismo tipicamente adolescenziale era finito. Dovevo cominciare ad assumermi le mie responsabilità.

Un evento che ha mietuto 309 vittime, una città ferita nel corpo e nell’anima che ha fatto conoscere la parola morte a tanta, troppa gente. 

In realtà, nel mio caso, la morte aveva già bussato alla mia porta ben due volte, molti anni prima del terremoto. Il rapporto con la morte fa parte della mia sfera personale e posso assicurare che mi ha cambiato profondamente l’esistenza. Perciò credo che nessuno in questo mondo sia preparato ad affrontarla: tutti hanno il solo desiderio di vivere. Ammetto, però, che la morte mi ispira curiosità ed allo stesso tempo paura, nonostante io non riponga alcuna speranza in nessuna istituzione, come la Chiesa, e in nessuna religione. Queste istituzioni propongono una visione della vita eterna al di là di questa vita, perciò vedo la fede come nient’altro che un’illusione. Chi propone soluzioni del genere non è altro che un essere umano come me, quindi ne sa quanto me.

Nell’ultima tua mostra all’Aquila intitolata Fading hai raffigurato, tra l’altro, un Cristo crocifisso sofferente e con lo sguardo sperso nel vuoto; in un altro quadro hai esposto una vera maschera da oncologia, quasi forzatamente attaccata sulla tela. Ed hai anche invitato ad alzare lo sguardo sui tuoi quadri e tutti sono rimasti sbalorditi dal fatto che avevi deciso di appendere dei cubi di vetro con dentro ossa di animali. Cosa vuoi dimostrare a questo mondo già straziato da guerre, distruzioni e cambiamenti di tutti i tipi?

In questa mostra, il cui titolo sta proprio ad indicare la dissolvenza, ho voluto semplicemente dimostrare che al di sopra della morte c’è una legge ancora più evidente e ovvia, che è la legge della disintegrazione di tutte le cose. In questo contesto, il Cristo, che ho fotografato alla chiesa del Gesù a Roma, non è altro che un simbolo, tra tanti, che in Italia è sicuramente il più gettonato per ovvi motivi. Mi è servito semplicemente per far capire che anche lui è morto. Tutti, dico tutti, finiremo dentro quei cubi pieni di ossa, perché tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine. Poi, la maschera da oncologia è espressione di una vita che può essere allungata anche mentre un cancro ti disintegra, ma anche in quel caso, la morte ti attende. Tuttavia, come diceva un poeta, non è importante la destinazione, ma i passi che fai durante il tragitto.

Hai anche appeso una fasciatura con del sangue di tua appartenenza. Sei stato cosciente del fatto che avresti potuto scandalizzare qualche visitatore più sensibile? D’altro canto, Pier Paolo Pasolini diceva che scandalizzare è un diritto...

Essere scandalizzati è un piacere. Sì, convengo con Pasolini, ma io mi permetto di chiedere: che vuol dire scandalizzare o essere scandalizzati? Nulla. Ognuno ha la sua morale, ma nessuno pensa che può benissimo essere scandalizzato di più dalla guerra, dalla mala politica, dagli eventi che continuano a stravolgere il mondo, e non dal mio sangue? Cos’ha di più scandaloso il mio sangue? Non dovrebbero forse scandalizzare di più la pedofilia, i genocidi come quello di Adolf Hitler in Germania o di Assad in Siria? Non è l’arte che scandalizza, siamo noi ad essere cambiati.

Dopo questa rappresentazione, comunque, in molti sono stati soddisfatti dei tuoi quadri e del tuo modo di fare arte: secondo te, all’Aquila, servirebbe una “svolta artistica”? E come può l’arte aiutare le persone?

Penso che una svolta artistica serva non solo all’Aquila, ma a tutta l’Italia. Abbiamo bisogno di svegliarci, siamo succubi della fossilizzazione della quotidianità. Per quanto riguarda la mia città, penso che l’arte sia prima di tutto relazione e non ho dubbi nell’affermare che all’Aquila c’è ancora poca voglia di comunicare, di stabilire relazioni umane. Però comunque continuo a perseverare, non si sa mai.

In molti hanno detto e diranno ancora che le tue opere d’arte sono belle. Bello, però, è un aggettivo forse troppo spesso abusato. Tu la penseresti come Fedor Dostoevskij, secondo cui la bellezza salverà il mondo?

La bellezza non salva affatto il mondo. La bellezza è un concetto soggettivo, ognuno di noi ha diverse emozioni. Il problema è che spesso siamo ossessivi ed ossessionati: a qualcuno piace il sadomasochismo, ad esempio. Penso anche al fotografo americano Joel Peter Witkin, che trova la bellezza nell’orrido! Non avrei problemi ad appendere una sua fotografia con teste sgozzate in camera mia. È un folle, ma per me è bello. Tuttavia continuo a pensare che il mondo non sia salvabile.

Quale futuro vedi per la tua carriera artistica? Hai in mente di esportare il tuo modo di fare arte?

Mi piacerebbe comunicare la mia arte anche fuori L’Aquila, dato che svolgo mostre anche altrove. Voglio continuare a fare l’artista, anche se penso che non esiste un modo assoluto di fare arte. Non m’interessano il come e il dove, l’importante è perseverare nella mia scelta.

Nonostante tutto, L’Aquila sta ripartendo e tu attualmente vivi all’Aquila e vivi L’Aquila: il tuo ultimo monito può essere considerato un saluto o un augurio alla tua città?

Nonostante io pensi che la mia generazione attualmente abbia poca speranza in città, proprio perché viviamo un periodo di transizione, voglio che il mio non sia né un saluto né un augurio, ma un arrivederci temporaneo. Alla fine, credo che vivere in un luogo o in un altro abbia molti significati e nessun significato. L’unica cosa che mi rincuora è il qui ed ora: devo continuare a rendere conto soprattutto a me stesso.




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