Roio e la casa perduta, Fulgenzio Ciccozzi scrive una lettera ai genitori ricordando la devastazione

- di FULGENZIO CICCOZZI -

Lettera a mia madre e a mio padre.

 

 

Sono passati dieci anni dal momento in cui decisi di prendere per la prima volta la "penna in mano" e buttare giù qualche parola per descrivere la tragedia che aveva colpito il mio paese: Roio. Dieci lunghi anni non sono bastati per rivedere la gente riempire nuovamente i vicoli e le piazze di quei borghi che mi hanno visto crescere. Oggi mi resta il rammarico che mia madre non abbia avuto modo di rientrare nella casa la cui parola negli ultimissimi tempi, quando la sua mente aveva smesso definitivamente di ricordare, non riusciva più nemmeno a pronunciare. A pensare che solo fino a qualche mese fa, le uniche capacità mnemoniche su cui il male non aveva avuto la meglio erano quelle di toglierle di bocca le parole mamma e casa: "Mamma, forza rejemo a casa!". Quanto doveva essere importante per lei associare la parola casa alla mamma! E quale madre, anche se lassù in cielo, poteva mentire a sua figlia facendole promesse che non avrebbe poi potuto mantenere! Cara mamma, sono rammaricato! Ce l'ho messa tutta. Purtroppo quando ci si imbatte in una farraginosa e spesso incomprensibile burocrazia e in qualche proprietario eccessivamente puntiglioso o tecnico riottoso nel portare a termine il proprio incarico nei tempi e nei modi auspicati, è davvero dura. Ma tanto è! La politica del "dove era e, soprattutto, del come era" sta lì a dimostrare il suo fallimento e prende le sembianze delle case dei paesi ai cui tetti si è sostituita la sommità del cielo, e il posto dei pavimenti è stato preso da rigogliosi arbusti. Alberi che fanno anche buoni frutti, i quali andrebbero colti nella circostante campagna e non dentro quegli spazi che fino a qualche anno fa custodivano un altro genere di vita. Qualche casa è ormai stanca di aspettare e cade da sola, come quella posta in via Giovanna d'Arco, a Roio Piano. Basta poco, qualche fiocco di neve in più, un po' di vento, un po' di pioggia, e "pluff"...il resto lo fa l'abbandono! E mentre nei Consorzi si continua a parlare, i paesi muoiono. Quante nuove generazioni di ragazzi dovremo attendere affinché possano tornare in quelle isole felici e godere della libertà e della bellezza che hanno nutrito noi e i nostri genitori? La risposta la conosce solo il Signore che qui da noi non ha più nemmeno la casa più antica in cui riceverci: la chiesa dei Santi Nicandro e Marciano. La chiesa viene rappezzata un po' per volta e pian piano sta assumendo le sembianze di una maschera di carnevale, cosa inaudita per un edificio sacro. E intanto ai nostri cari diamo l'ultimo saluto nel centro polifunzionale del vicino villaggio Map di Santa Rufina. Si è persa un'occasione storica per ricostruire le nostre frazioni più belle e più sicure di prima, dove i posti delle stalle, delle stanzette divise in decine di proprietari (alcuni dei quali residenti all'estero) e dei "buchi" non più utilizzati da tempo potevano essere occupati da piazze e strade più larghe dando così la possibilità di lasciare la precedenza "reale" alla ricostruzione delle prime case e magari, perché no, sostituire pertugi con botteghe artigianali o esercizi commerciali che avrebbero certamente contribuito a creare lavoro ed evitato l'abbandono. Forse lo Stato avrebbe speso meno soldi e i paesi sarebbero già stati ricostruiti! Ma questa è un'altra storia! Caro papà, anche quest'anno dovrai passarlo sfogliando l'album dei ricordi e con il rammarico che non ci sarà la tua fedele compagna di una vita a confortarti. Troppo poco è stato fatto per voi e per quelli come voi, e i centri storici delle frazioni stanno lì a dimostrarlo. Invece voi addetti alla ricostruzione, battete un colpo se ci siete, il tempo delle attese è finito.


 



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