Una discesa mozzafiato in verticale dalla cima di pizzo Cefalone a sciatore cadente...

Una discesa mozzafiato in verticale dalla cima di pizzo Cefalone a sciatore cadente!

- di Paolo De Angelis -

 



Io mi vanto di essere sceso con gli sci da m. Cefalone per primo per una via mai più ripetuta INTEGRALMENTE, esattamente lungo quell’itinerario “ a goccia CADENTE”( tenete a mente il grassetto..). Da tempo avevo puntato un percorso, dovevo solo attendere le condizioni adatte e un giorno di tanti anni fa, di questo periodo, esse si avverarono. La via era la discesa in verticale dalla cima di pizzo Cefalone. Avevo studiato un itinerario che mi sembrava fattibile anche se in alcuni punti, sotto il secondo salto di rocce, l’itinerario doveva giocoforza spostarsi dalla linea verticale. Questo non mi preoccupava perché mi piaceva scoprire sul momento dove potessi passare. Avevo un paio di sci con anima interna di legno, quattro lamine affilate come un rasoio, scarponi da sci particolarmente tecnici ( chi lo ricorda..i TNT arancioni…mitici).Già, io per scendere su quei terreni,non utilizzavo sci da scialpinismo, ma degli sci molto rigidi da discesa ( slalom speciale), con attacchi bloccati in modo che non potessero sganciarsi inavvertitamente. Su condizioni difficili era l’attrezzatura più sicura. Quel giorno però feci un errore. Dato che faceva molto freddo, indossai un paio di pantaloni di tessuto sintetico, non lisci, ma purtuttavia più scivolosi di un tessuto naturale. Al mattino salii con la funivia insieme ai miei amici che si fermarono sulle piste e dopo alcune discese di riscaldamento, più per attendere il momento giusto che per sgranchire i muscoli, partii. Le creste di Portella erano molto affilate e mi divertii un mondo. In un battibaleno arrivai alla cima. Era una giornata magnifica ed attesi però più di un’ora per permettere al sole di ammorbidire la neve. Era quasi mezzogiorno quando il sole illuminò direttamente il mio percorso. Tolsi i ramponi e strinsi gli attacchi. Controllai con minuzia i lacci dello zaino, gli occhiali, che la piccozza fosse saldamente agganciata, mi misi sul punto in cui il sentiero estivo sbocca alla cima, feci un profondo respiro e partii. Mi piacevano i secondi che precedevano queste partenze. In questo caso però già dalle prime curve il pendio è molto ripido e quindi bisognava fare estrema attenzione perché i muscoli e la testa ancora non erano “rodate” e quindi uno sbaglio poteva sempre avvenire. La mia tecnica era molto “saltata” e del resto su quelle pendenze non poteva certo attendersi una curva “condotta”. Il salto permetteva di perdere poca quota e di controllare perfettamente gli sci che così non prendevano velocità. Io ero maestro in questa tecnica che peraltro avevo affinato scendendo sui brecciai e sulla falasca, in estate. Purtroppo questa tecnica non era quanto di meglio sulle piste, dove sfrecciavano i tecnicisti dello sci, ma a me poco interessava, mi prendevo la rivincita quando il pendio iniziava ad impennare. Dalla cima il canalino era ben evidente, la neve magnifica e scendevo con tranquillità fino ad arrivare a livello della cresta. Li in estate ci sono prati ripidi e quindi non feci altro che seguire un itinerario a “goccia d’acqua”. Sapevo che sotto di me c’era il primo fascione di rocce e che un canalino lo solcava, ma io dovevo scendere in un itinerario il più possibile verticale. In realtà trovai un canalino appena accennato, forse formato dal vento, come un semitubo. Dovetti scendere in derapata, piano piano, non avevo spazio neppure per una curva saltata, ma poi si allargò e potetti dare sfogo alla tensione accumulata durante questo tratto. Saltavo in aria ed atterravo con sicurezza fermando gli sci senza un solo piccolo indugio. Credo che la pendenza nel tratto più ripido arrivi attorno ai 50 gradi, se non di più. Ora dovevo affrontare il secondo fascione di rocce e la cosa mi metteva una certa apprensione per via delle difficoltà che sembrava avere. In alto le rocce sono molto ripide, ma non verticali. Poi, ma mano che la parete scende, diventa sempre più verticale fino a divenire strapiombante tanto che sotto di esse, alla fine, ci sono antichi rifugi di pastori ed anche un eremo pochissimo conosciuto. Queste rocce sono appunto il tetto di tali rifugi. Il pendio, già ripido, finiva su questo immane salto che non sembrava avere, almeno dall’alto una benchè minima possibilità di discesa. MI fermai sull’orlo del precipizio, mi guardai attorno e decisi di andare a vedere verso la mia sinistra, li dove sembrava ci fosse la possibilità di passare. Iniziai a procedere diagonalmente e sentivo le lamine mordere la neve e questo mi dava una immensa sensazione di sicurezza.Man mano che avanzavo, il pendio diventava sempre più ripido… Poi tutto successe senza che neppure avessi la sensazione di aver fatto un errore. Il pendio era talmente ripido che lo scarpone urtò la neve con il suo lato e mi fece perdere l’attrito delle lamine. Un istante dopo scivolavo di fianco su un ripidissimo pendio che finiva sulle rocce del fascione…. Un salto di almeno 30 metri ( per avere un’idea, un palazzo di più di 10 piani) che io però non conoscevo se non per averlo visto da sotto con il binocolo. Ero stato spesso lassù in estate, mi allenavo di corsa su questo versante, ma li non si poteva salire quindi non lo avevo mai considerato… ed ora precipitavo verso di esso. Il solo pensiero di potermi fermare era ingenuo. Tentare di fermarmi mettendo di traverso le lamine era impossibile ed addirittura pericoloso, perché mi avrebbe potuto far ruotare e farmi perdere totalmente il controllo. Vedevo l’orlo avvicinarsi inesorabilmente . Avevo commesso l’imperdonabile errore di non scendere con la piccozza in mano, la quale mi avrebbe permesso di bloccarmi immediatamente. Ma ormai era fatta e già immaginavo il mio corpo dilaniato dalle rocce. E li agii d’istinto, non pensai nulla, non avrei avuto tempo di farlo, tutto successe in pochi istanti. Ormai ero perso, tanto valeva assecondare il destino. Non potevo fare altro, riuscii a mettere gli sci sotto di me e poco prima di precipitare, ero sugli sci e acceleravo verso il vuoto, come uno sciatore su un trampolino gigantesco in una gara di salto con la morte.Non so, non ricordo, di aver fatto alcun ragionamento, ma mi ritrovai in aria che volavo verso il vuoto…. Si verso il vuoto, lontano dalle rocce che li non erano perfettamente verticali. Si dice che in questi casi la vita passata ti scorre davanti come un lampo…non è vero, io ero totalmente assorbito a non perdere l’assetto in volo. Poi la mia traiettoria finì la sua spinta e vidi le rocce avvicinarsi. Le urtai, ma non sentii alcun dolore, mi parve così strano. Urtai ancora ed udii un rumore sinistro… forse erano le mie ossa…. Un’ultima roccia, poi di nuovo il vuoto. Ero perfettamente cosciente che stavo superando lo strapiombo, ormai attendevo solo l’impatto che avvenne un instante dopo.
Un impatto… no..non ci fu impatto perché la neve era accumulata in decine di metri e la pendenza era molto accentuata. Piuttosto ci fu un “atterraggio morbido”. Neppure me ne resi conto, oppure la mia mente ha cancellato quell’istante, così come cancella i dolori più acuti. Infine mi fermai. Non avevo il coraggio di muovermi perché avevo paura di accorgermi di essere fratturato e peggio, paralizzato. Passò un tempo imprecisato, poi iniziai a connettere. Non sentivo dolore, ma questo poteva essere un segno molto negativo. Mandai impulsi agli arti inferiori che reagirono prontamente ed allora mi tranquillizzai ed ebbi il coraggio di procedere oltre all’esame delle mie condizioni fisiche. Avevo ancora gli sci ai piedi, intatti. Un senso di pace si impossessò di me. Forse pagavo l’adrenalina che avevo appena prodotta in maniera abnorme. MI guardai i piedi, avevo gli scarponi aperti. Si erano rotti. Poi sentii freddo alla gamba, con una sensazione di bagnato. Sul momento pensai che fosse sangue e guardai. I pantaloni mi si erano aperti totalmente con un taglio netto che correva lungo tutto il pantalone e..udite udite, anche gli slip si erano rotti. E tutto questo senza neppure un taglio alla pelle. Annodai gli slip, con un cordino “ricucii” il pantalone alla “bellemeglio” e mi avviai verso la villetta a piedi. I miei amici che lavoravo alle funivie appena mi videro in quelle condizioni, mi rifocillarono. Evenio ed Ubaldo mi fornirono di un bel nastro americano con cui riparai i pantaloni per non essere troppo scandaloso. Il giorno dopo avevo un piccolo dolore alla cervicale…. Quegli sci rimasero ai miei piedi per altri anni. Ormai erano diventati vecchi, nuove tipologie di sci erano ai piedi dei miei amici “pistaioli”. Venivo spesso deriso, ma a me non interessava nulla… non si tradisce un amico “per la pelle”. Un giorno scendevo con alcuni amici nella facile vallefredda. Ero quasi arrivato, ma la stagione ormai era avanzata ed alcune rocce spuntavano dal terreno. Impattai inavvertitamente su una di esse e uno sci si divise in due. Nessuno capì il mio dispiacere, anzi tutti ridevano della mia avversione ad acquistare delle “spade” più consone. Nessuno capì…. Spesso nessuno capisce…solo pochi…. E’ stata una “prima”? A me non interessa, ma sicuramente è stata una prima...“mezza prima con salto”,sfido chiunque ad averla ripetuta per intero!! L’itinerario perfetto… a sciatore CADENTE !!!



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