Abruzzo: pastori e allevatori come indiani in una riserva

«Ancora un’occasione da non perdere, ancora una volta Camera di Commercio, Regione, Forestale, Provincia, Parchi e chi più ne ha più ne metta: non mancherà la sfilata di politici e istituzioni alla 52ma Edizione della Mostra-rassegna degli ovini che si apre il 5 agosto»: questa l’amara constatazione di Nunzio Marcelli, Presidente dell’Associazione Allevatori Ovicaprini (ARPO), alla vigilia dell’apertura della nota manifestazione che si svolge annualmente a Campo Imperatore. «Ancora una volta», prosegue Marcelli, «pastori e allevatori saranno soltanto l’opportunità di una vetrina, sfruttando l’immagine di un sapere millenario: messi là come indiani in riserva, come indios esposti nelle gabbie per il divertimento del pubblico europeo ai tempi dei Conquistadores. Istituzioni che non hanno mosso un dito in tutti questi anni per difendere le aziende che chiudono, le famiglie costrette ad abbandonare i paesi: ciechi e sordi ai continui richiami di un territorio che si sta svuotando di dignità e identità, lasciando posto solo ai coltivatori di contributi, un territorio che si è conservato per secoli proprio grazie alla presenza dei pastori e dell’agricoltura di montagna, che oggi scompare nel silenzio e nell’indifferenza di chi poi fa a spintoni per farsi fotografare con in braccio un agnello a Campo Imperatore».

«Del resto», sottolinea Marcelli, «questa deriva culturale non trascura nessuno: se il mercato globale può fare la sanguisuga e sfruttare indebitamente nome e provenienza dei prodotti senza che le istituzioni muovano un dito per difendere l’identità dei territori e delle loro produzioni, non scandalizza che la Suprema Corte sancisca che “zappatore” è diventato un insulto». Così sancisce infatti una recente sentenza della Corte di Cassazione.

Riecheggiano più attuali che mai le parole di Ignazio Silone: «io so bene che il nome di cafone, nel linguaggio corrente del mio paese, è ora termine di offesa e dileggio; ma io l’adopero nella certezza che quando nel mio paese il dolore non sarà più vergogna, esso diventerà nome di rispetto, e forse anche di onore».

«Ma né le nostre istituzioni, né la Suprema Corte di Cassazione, sembrano vedere e sentire la dignità di chi ancora svolge un lavoro di millenaria tradizione», conclude Marcelli; «il dolore e la fatica quotidiana del lavoro della terra e dei pastori restano una vergogna, in questo nuovo Medioevo dominato dalle leggi di mercato e dell’apparire». Sarà l’attuale classe politica e dirigente con il proprio esempio a salvare le sorti delle future generazioni?




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