DUE PAROLE SU MUSSOLINI, CAMPO IMPERATORE E IL TURISMO

- di Stefano Ardito -

 

Qualche anno fa, mentre giravo un documentario sul Gran Sasso, sono entrato nella camera dell’albergo di Campo Imperatore dove nel 1943, per due settimane, fu ospitato contro la sua volontà (la parola “detenuto” è fuori luogo) l’ex-dittatore Benito Mussolini.
Nella camera, annunciata all’esterno da una targa dorata, non c’era nulla di strano, e solo un busto di fattura non eccelsa (lo vedete nella foto) ricordava l’illustre ospite. Mi è stato detto che la camera veniva affittata a un prezzo “circa tre volte” superiore al normale, ma non sono riuscito a sapere una cifra.
Confesso di essere stato curioso di cosa facessero lì dentro, dopo aver pagato un prezzo esoso, i clienti-nostalgici dell’Albergo. Marciavano avanti e indietro in camicia nera? Leggevano commossi brani dei discorsi del Duce? Si lanciavano in orge in divisa? Ho pensato che, per sapere di quelle serate, sarebbe stato istruttivo nascondere in quella camera una videotrappola, come quelle usate per riprendere orsi e lupi. Ovviamente (ahimé) non l’ho fatto.
Ho ripensato a questo episodio giorni fa, quando ho saputo che oggi, sabato 5 ottobre, alla nuova Festa della Montagna dell’Aquila si sarebbe parlato dell’Albergo e del suo ospite più famoso, anche nella prospettiva di rilanciare il turismo sul Gran Sasso.
Conosco abbastanza la storia dell’Appennino per sapere che la costruzione della Funivia e dell’Albergo è stata tra le iniziative positive (come i famosi “treni in orario”) del regime fascista. Conosco abbastanza bene la cronaca per sapere che l’abbandono in cui versa da anni l’albergo è una responsabilità grave di chi ha governato L’Aquila e l’Abruzzo negli ultimi decenni, a iniziare dalle giunte Cialente e D’Alfonso-Lolli. L’emergenza legata al terremoto del 2009 non giustifica certamente l’abbandono.
La settimana scorsa non ho potuto partecipare alla conferenza-stampa di presentazione della Festa. Nelle cronache dei colleghi, però, ho letto che si sarebbe parlato, tra l’altro, di un rilancio turistico ispirato al successo di Predappio, il borgo natale di Mussolini, in Romagna, che è meta da settant’anni di nostalgici di ogni risma.
Mi permetto, sommessamente, di ricordare alcune cose. La prima. Negli ultimi anni di apertura dell’Albergo di Campo Imperatore, uno scaffale accanto alla reception era dedicato a libri e video sulla permanenza dell’ex-Duce in quel luogo, e sulla sua liberazione (“Operazione Quercia”) da parte dei paracadutisti tedeschi.
Ho l’impressione che una gestione più attenta all’alpinismo, all’escursionismo e allo sci sul Gran Sasso, con convegni, proiezioni e quant’altro, avrebbe potuto evitare la chiusura dell’Albergo ben più dell’insistenza sui fatti del 1943. Anche l’Osservatorio astronomico non è mai stato sfruttato abbastanza.
Considerazione numero due. Credo che il ricordo sia un esercizio positivo, anche se si applica a fatti e a personaggi che non amiamo, purché lo si faccia con attenzione e rigore. Se si parla di Mussolini, è bene ricordare che quel signore, che nelle foto a Campo Imperatore sorride con il cappello in testa accanto ai suoi liberatori della Wehrmacht, ha sulla coscienza un numero altissimo di morti.
Nella Seconda Guerra Mondiale, tra militari e civili, hanno perso la vita circa 500.000 italiani, ai quali vanno aggiunti mutilati e altri feriti. Centinaia di migliaia di persone, militari e civili, sono state uccise dalle armi italiane in Libia, Spagna, Etiopia, Grecia, Albania, Russia e Jugoslavia.
Il maggiore Otto Skorzeny, protagonista dell’Operazione Quercia, era certamente un avventuriero capace di progettare oltre alla liberazione del Duce il rapimento (o l’assassinio) di Churchill, Stalin, Roosevelt e Tito. Ma era anche un criminale di guerra riconosciuto, che aveva combattuto per due anni con le Waffen SS sul Fronte orientale. E sappiamo bene cos’hanno fatto, in Bielorussia e in Ucraina, i soldati con la divisa nera e il teschio.
Quanto al turismo da cui prendere esempio, mi permetto di ricordare a chi interverrà oggi all’Aquila due o tre esempi, a cui ci si potrebbe ispirare in Abruzzo. A Sant’Anna di Stazzema e a Marzabotto, rispettivamente sulle Apuane e sull’Appennino bolognese, dei sentieri dolorosi e suggestivi toccano i luoghi degli eccidi nazifascisti del 1944.
Il sentiero dei nove Martiri aquilani verso la chiesa della Madonna Fore, o quello nel Bosco Martese, sulla Laga, che tocca i luoghi della prima battaglia della Resistenza italiana, meritano certamente di essere promossi e segnalati. A Pescina, un bel sentiero che ho contribuito a ideare tocca i luoghi di Ignazio Silone, antifascista ed esule dalla sua terra per decenni. Poi, una volta promossi come meritano questi luoghi, costruiamo pure un memoriale dell’Operazione Quercia. Tra la memoria e la nostalgia da quattro soldi c’è un abisso.



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