Alle Falde del Gran Sasso - A. Semeraro 1936 un gruppo di amici penetra nella Grotta a Male

"Essendo noi tutti da giorni segregati in casa, senza sapere fino a quando, dal “corona virus”, Raffaele Alloggia ha pensato che possa essere l’occasione per conoscere più da vicino personaggi che nel secolo scorso, hanno dato lustro a Paganica. Nel settembre del 2012, in occasione di una “Giornata di Studi”, nel Centro Civico di Paganica, si parlò di Angelo Semeraro (1906/1992) Poeta, Scrittore e Archeologo. L’idea è quella di pubblicare, se c’è riscontro di interesse, a “brevi puntate” la sua storia e alcune delle sue passioni culturali!" L'iniziativa è apprezzata dalla redazione di "Assergi Racconta" che oggi vi prpone un'avventura nei meandri di Grotta a Male.
 
Angelo Semeraro racconta in un suo articolo pubblicato dal quotidiano Il Messaggero, “Alle Falde del Gran Sasso” del 14 novembre 1936 di quando con un gruppo di amici penetra nella Grotta a Male nei pressi di Assergi, circa quattro secoli dopo la scoperta dell’architetto militare Francesco De Marchi. L’interessante articolo racconta passo dopo passo quell’avventura!............
IL MESSAGGERO del 14 NOVEMBRE 1936
“Alle falde del Gran Sasso” di Angelo Semeraro
Aquila, 13/11/1936
L’idea la lanciai una sera, mentre facevamo la solita passeggiata sotto i portici. Dì sapete di una certa grotta esistente sotto il Gran Sasso? E sapete che è interessante? D’avvero? Davvero. Allora bisognerebbe visitarla! Bravi e dal momento che lo pensate anche voi, chi si sente di accompagnarmici? Io, io, io pure. Spartaco Pederzoli, Luigi Rusmini ed Enrico Vivio risposero all’invito. (fra parentesi: Vivio non venne più). Ed allora! Allora, a martedì sera per gli accordi, e a mercoledì per la partenza. E martedì sera ci vediamo, anzi vedendoci appresi una bella novità: ci sarebbe stato un compagno prezioso il dott. Enea Cianetti, segretario della R. Soprintendenza all’Arte di Aquila, che già aveva provveduto ad avere dal Municipio il cortese permesso per l’effettuazione della visita, essendo la grotta posta sotto sorveglianza dell’ufficio tecnico e della Condotta Forestale Municipale. Per la cronaca diremo anzi che la grotta, dietro interessamento della predetta R. Soprintendenza era stata già visitata, non so fino a qual punto, da un funzionario della R. Soprintendenza alle Antichità di Roma, anche perché in essa erano stati rinvenuti resti fossili d’una fauna non più esistente nella nostra zona. Martedì sera, dunque, gran da fare. Cosa preparare? Cosa portare? Si dice che la grotta è lunga! Allora prima d’internarci in essa bisognerà fortificarsi con un buon sorso. Ho saputo che non ci si vede … (che scoperta!): allora necessitano le lampadine tascabili. Pare che vi sia una specie di labirinto! Allora spago, spago (niente sapone); il filo d’Arianna insomma. Corse qua, acquisti là e poi? A domani. A Domani. E l’indomani mattina giunse. Il tempo dava però poco affidamento. Ciò malgrado avanti. Cianetti, camminatore instancabile, malgrado la barbetta brizzolata, ha deciso di percorrere col … cavallo di San Francesco, la distanza da Aquila al Gran Sasso; quindi, Ombrella in resta- ben s’intende- alle nove prende la via di Aragno, per scendere poi su Assergi. Noi alle undici montiamo su altri cavalli, la bicicletta, e via ugualmente. Forza pedale mio, forza pedale, sciogli alle miglia il canto delle ruote. Tempera, Paganica, Appari, Valle Verde, Camarda, al fine Assergi. Ad Assergi la bevuta prestabilita, riunione con Cianetti e col milite forestale Pasquale Vitocco, che ci farà da guida, e … in marcia sul serio. Il Gran Sasso è imbronciato, sulla sua sommità un cappuccio di nubi ce ne vieta la vista, appena appena si intravede la stazione della funivia di Fonte Cerreto. Prendiamo la strada del Vasto, per un buon tratto fiancheggiamo il Raiale, che scorre “chiacchierone” colle sue acque limpide. Un gruppo di donne intende a lavare ci guarda passare, con una domanda nello sguardo. Più in là altre ragazze in cerca di cicoria, alzano i busti colmi, e restano dall’opra sul prato carico di verde. La strada è bella, a destra la montagna s’è schiarita, il pizzo Cefalone svetta e ci sorride. A sinistra oltre il Raiale, e i suoi prati, vigne coltivate e terrazze, stradette che si inerpicano audaci fra terreni strappati palmo a palmo alla roccia; pioppi giganteschi, noci altezzosi, salici pieni di malinconia. Camminiamo da circa un’ora quando, tra le folate di vento e sciabolate di sole fuggenti dagli strappi delle nuvole, arriviamo all’ingresso della grotta. E che ingresso! Una voragine, poi un’arcata immensa di rocce, poi.. la tenebra, l’ignoto. Scendiamo: le rocce si restringono; incerto è infido il terreno su cui camminiamo cauti, protesi verso la crescente oscurità. La fioca luce delle lampadine tascabili, a cui abbiamo aggiunto il chiarore delle candele, si diluisce e si sperde nella cavità sorda ed immensa. Le rocce nude, ostili, viscide di umidore stillante, ci guardano arcigne. Subito dopo l’ingresso, oltre l’arcata immensa, è il primo cunicolo, una prima sala ove le stalattiti incipienti si sforzano alla ricerca di una forma. Qui uno spettacolo poco edificante ci aspetta. Lo scheletro di un asino precipitato all’ingresso della grotta un paio di anni fa (ci spiega la guida), ed arrivato fino a quel punto misteriosamente. A questo mistero, io penso non deve essere tanto estranea l’opera dei lupi.
Un'occhiata rapida, e ..... avanti, sempre più immergendoci nell’orrida ferita del monte, nella materia squarciata del gigante che ci sovrasta, con un procedere circospetto , fra massi colossali, per cunicoli fangosi, rasentando spacchi profondi, mentre la volta ora si alza e ora s’abbassa con i suoi macigni sospesi, in un equilibrio inesplicabile. Sorde ci sembrano le nostre voci, il buio è così denso che par che lotti con le luci, per impedire il loro propagarsi. Oscurità enorme, quasi materiale, mai ferita dal sole, rotta magari a volte, solo dal bagliore di pupille ferine, e silenzio, silenzio pesante, contro il quale le nostre voci si smarriscono, silenzio dedito a conservare il segreto in esso accumulato da secoli innumerevoli, silenzio di ere svanite, sepolte da un passato invagliabile, che solo il rombo, il sussulto, di moti tellurici, può avere a volte infranto. La conformazione della grotta a questo proposito, ci porta a pensare a terremoti immani che queste rocce debbono avere spaccate, travolte, concatenate. Procediamo sempre: Vitocco avanti, io e gli altri lo talloniamo. Il fango ci ha fatto già subire una strana metamorfosi, quand’ecco i primi frantumi di terrecotte. Le terrecotte? Proprio le terrecotte; frantumi spessi, che in origine dovevano dar forma a vasi o ad anfore di mole non indifferente. Concentriamo tutte le nostre luci su questi resti, ne raccogliamo qualcuno, e cerchiamo alla buona di capirci qualche cosa, fra mille domande. A quale epoca esse appartengono? Sono opera dell’uomo primordiale che ha imparato a cuocere l’argilla, e che ha lasciato spesso fra questi monti del Gran Sasso le punte delle sue silici? Sono opera degli abitanti della Vestina Prifernum, che sorgeva in questi paraggi? Triturandone un pezzetto, ci siamo accorti come molta parte di carbone fosse stata impastata con l’argilla stessa, e questa constatazione, insieme alla rude verniciatura donata al manufatto dalla cottura e dal fumo, ci ha portati a ricordare come molti popoli antichi adoperassero una tecnica pressappoco eguale. Quali uomini insomma scesero in questo antro pauroso? E a cercarvi che cosa? Forse una dimora naturale, o un disperato rifugio? Un segreto ipogeo, o una meta sicura ove custodire aurei tesori? A poche centinaia di metri dalla grotta, sorge la chiesetta antica, isolata, e nascosta di S. Clemente in Fratta. Attorno ad essa, è tradizione, vi siano catacombe, ove si rifugiavano i primi cristiani di Priifernum, durante le persecuzioni. Ne sarà una conseguenza Grotta a Mala? Quanta luce potrebbe portare a questo proposito uno studio approfondito da parte di organi competenti, magari dell’Istituto Speleologico. E quanto nuovo interesse ne potrebbe acquistare il nostro Gran Sasso! Tanto più che di grotte, oltre questa, pare ve ne siano ancora. Altre sciabolate di luce nella tenebra fonda , e avanti. Ad un tratto un grido. Cosa è successo? Rusmini ha voluto saggiare la resistenza di una roccia, dandogli contro col proprio capo. Ha vinto la …. Roccia. La respirazione diventa difficile, Cianetti si ferma, Rusmini e Pederzoli gli tengono compagnia, io e Vitocco avanziamo ancora. A che profondità siamo? A cinquanta a cento o a centocinquanta metri? All’ingresso di un cunicolo strettissimo ci fermiamo anche noi. Rapide occhiate, decidiamo il ritorno. Mi accosto ad una parete e torniamo indietro verso gli altri, che immaginiamo in attesa. Camminiamo per un po’ poi Vitocco: - abbiamo smarrito la strada! Dio mio!- Chiamo i compagni: - Rusminiii- Un’eco sorda, forse la voce di qualche gnomo mi risponde: _Inii…- Cosa fare? Momento poco entusiasmante. Procediamo guardinghi, e finalmente, precedendo Vitocco, sbuco nella sala che per ultima avevamo lasciata , prima di internarci nel mistero dei cunicoli di fango di pietra. Un sospiro di sollievo ci allarga il petto, poi insieme al bravo milite riprendo la via dell’uscita, che gli altri di già avevano percorsa. Benedetta la luce; la tenebra, l’incubo, il silenzio, diventano un ricordo; ci sembra di tornare alla vita. Ci fermiamo tutti e cinque all’ingresso diamo un’occhiata d’addio all’antro selvaggio, e a passo svelto riprendiamo la via di Assergi. Piove; l’acqua scende copiosa e a già ingrossato il Raiale non più limpido. La pineta di Casa Latina, che Vitocco indica in distanza, è bella lo stesso e un bel quadretto formano la chiesetta di S. Pietro e le case che sorgono al principio dell’altopiano del Vasto, innanzi alle Male Coste. Torniamo con passo celere, mentre le batterie celesti ogni tanto ci fanno sentire il rumore dei loro scoppi. Raggiungiamo Assergi che la pioggia cade ancora; il Ristorante delle Aquile ci accoglie, e mentre dalla terrazza miriamo il Gran Sasso che imbianca; accumuniamo in un palpito solo l’emozione della gita, e l’anelito dell’autobus che fra poco, insieme alle biciclette, ci riporterà lontano.

 



Condividi

    



Commenta L'Articolo